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Perché il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria mi lascia perplesso. Parla il generale Camporini

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Un fulmine a ciel sereno. Così è arrivato il tweet del Presidente Donald Trump che sembra preannunciare un’imminente decisione sul ritiro degli Stati Uniti dalla Siria. Un cinguettio imprevisto, che parrebbe dunque confermare le diverse indiscrezioni precedentemente riportate da numerosi quotidiani d’oltreoceano, e relative ai timori del Pentagono. Il dipartimento della Difesa, guidato da James Mattis, è difatti tutt’altro che d’accordo con una manovra che lascerebbe campo libero a Turchia, Russia e all’attuale nemico numero uno degli Usa: l’Iran. Ne abbiamo parlato con il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), già capo di Stato maggiore della Difesa.

“We have defeated Isis in Syria, my only reason for being there during the Trump Presidency”. Così ha twittato il Presidente Usa. Come commenta questa uscita?

Il Presidente Trump non smetterà mai di sorprenderci. È la sua tattica: giocare sull’imprevisto. In particolare, mi sembra che la sua affermazione sulla vittoria contro l’Isis in Siria sia, come direbbe Woody Allen, abbastanza esagerata. Ad aver combattuto contro il sedicente Stato islamico sono stati prevalentemente le milizie curde, le forze iraniane e i russi. Gli Stati Uniti, da questo punto di vista, non hanno avuto un ruolo di primissimo piano.

Trump afferma tra l’altro che l’Isis è stato sconfitto. È d’accordo?

Sebbene sia ormai giunta alle battute finali, la guerra all’Isis non è del tutto terminata. Nella parte orientale della Siria ci sono ancora delle sacche di resistenza, che si possono giustificare solo con l’appoggio da parte della popolazione locale, senza il quale sarebbero già state spazzate via. Questo la dice lunga sulla situazione sociale, culturale e politica nell’area.

Lei ha detto che gli Stati Uniti non hanno avuto un ruolo di primissimo piano in Siria. Può spiegarci meglio.

Sono stato di recente sulle alture del Golan, potendo verificare in prima persona la situazione tattica sul terreno. Gli israeliani mi hanno confermato di essere abbastanza tranquilli, poiché gli iraniani non si avvicinano. Sono i russi a tenerli lontani, non gli americani. Ciò testimonia che gli Stati Uniti hanno un ruolo non propriamente primario nella zona. Se il presidente deciderà di diminuirlo ulteriormente, ciò vorrebbe dire lasciare uno spazio ancora più ampio a Russia e Iran, cosa che non credo risponda alle esigenze strategiche avvertite dall’ambiente statunitense, a partire dal Pentagono.

Proprio dal dipartimento della Difesa sono infatti emerse preoccupazioni sull’ipotesi di ritiro totale dei duemila militari Usa attualmente impegnati in Siria.

Proprio per questo la dichiarazione di Trump mi lascia molto perplesso. Un ritiro consentirebbe al nemico numero uno (almeno secondo l’attuale vulgata) di consolidare la propria posizione.

Come si spiega allora l’uscita di Trump?

Se vogliamo trovare una motivazione (e siamo a livello di ipotesi), essa andrebbe forse rintracciata nella volontà del Presidente di compiacere il proprio elettorato, francamente stufo di vedere i ragazzi americani combattere e morire in giro per il mondo. La tendenza statunitense al neo-isolazionismo non è nuova. A meno che non abbia altri piani di cui non siamo a conoscenza, l’intenzione di Trump mi sembra quella di premiare questo tipo di elettorato.

Oltre a Russia e Iran, a leccarsi i baffi potrebbe essere la Turchia.

Decisamente sì. Ankara ha un contenzioso vivace nell’area con le popolazioni curde, e ha occupato militarmente alcune zone della Siria. Quasi sempre, la presenza americana è servita da cuscinetto per evitare escalation pericolose. Nel caso di un eventuale ritiro, la Turchia tornerebbe ad avere mano libera, riattizzando un incendio che sembrava sotto controllo.

Ciò avrebbe un impatto sull’intera regione?

Certo. Per questo sono preoccupato. Se quella affermata da Trump sarà la decisione degli Stati Uniti, vedremo riaccendersi molteplici tensioni nell’area. Una Turchia che riesce a posizionarsi meglio entra naturalmente in conflitto con tutte le altre potenze che cercano un ruolo egemonico nella regione.

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