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Il terrorismo si combatte con la cooperazione. La linea del ministro Trenta

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Soprattutto di fronte agli attacchi terroristici, la sicurezza del Mediterraneo non può prescindere dalla collaborazione con i Paesi della sponda sud. Lo sa bene l’Italia, che nel 2004 ha avviato il programma “5+5” proprio per aumentare dialogo e cooperazione. Lo sa bene anche il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che oggi ha presieduto il 14esimo incontro tra i colleghi dei Paesi aderenti all’iniziativa, l’ultimo dell’anno di presidenza italiana. Una riunione preceduta però dal botta e risposta a distanza con Matteo Salvini, non tanto sulla natura (terroristica o meno) di Hezbollah, quanto sulla necessità di pesare bene le parole, soprattutto se in gioco potrebbe esserci la sicurezza di circa 1.100 militari italiani.

IL VERTICE 5+5

All’iniziativa “5+5” partecipano Francia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna per il nord; e Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia per il sud. Secondo la logica della rotazione, per il prossimo anno il testimone della presidenza passa alla Libia, chiamata a proseguire le attività in un momento di chiara difficoltà politica. Intanto, ha spiegato la Trenta, per la sessione di oggi “ho voluto aprire i lavori esprimendo i più sinceri sentimenti di cordoglio per le vittime dell’attacco di Strasburgo ed ho sottolineato come l’accordo di collaborazione 5+5, avviato nel 2004 a Parigi proprio su proposta italiana, possa favorire la comune azione di contrasto al terrorismo internazionale”. Sul tavolo del vertice, ha rimarcato la titolare della Difesa, “un’analisi approfondita delle minacce e delle sfide alla sicurezza dell’area mediterranea, con particolare riferimento proprio al tema del terrorismo di matrice radicale e ai traffici illeciti gestiti da reti criminali”.

IL RUOLO ITALIANO

“Come sapete – ha notato ancora la Trenta – sono particolarmente sensibile alle tematiche di sicurezza che interessano la sponda sud del Mediterraneo e per questa ragione sono orgogliosa di comunicarvi che delle 45 attività approvate nel 2018 ben 19 sono state a guida italiana”. Tra queste, lo scorso ottobre, è andata in scena Circaete 2018, l’esercitazione organizzata dall’Aeronautica militare con l’obiettivo di testare la reattività dei sistemi nazionali di sorveglianza e difesa dello spazio aereo, a fronte di una minaccia di tipo non militare. Nello specifico, si è inscenato un vero e proprio attacco terroristico in volo, con tutte le misure di reazione del caso, dallo “scramble” dei mezzi per la difesa aerea al coordinamento tra i diversi centri di comando e controllo.

LA RISPOSTA A SALVINI

Nel frattempo, ieri sul fronte difesa si è aperto un nuovo capitolo di confronto tra le due forze di maggioranza. Come lo fu a inizio luglio sulla missione Sophia, il ministero della Difesa è intervenuto su un’uscita del vice premier Matteo Salvini. Allora, quando il leader leghista propose di chiudere i porti italiani alle navi della missione europea, palazzo Baracchini dovette precisare che la competenza spettava a Difesa ed Esteri. Ieri, a generare “imbarazzo” e “preoccupazione” nel dicastero guidato da Elisabetta Trenta è stato l’appellativo di “terroristi islamici” affibbiato dal ministro dell’Interno, in visita in Israele, ad Hezbollah. I timori della Difesa riguardano in particolar modo i nostri militari in Libano, che sarebbero “messi in evidente difficoltà” dall’esternazione di Salvini.

L’IMPEGNO ITALIANO IN LIBANO

Nell’ambito della missione Unifil, circa 1.100 soldati italiani sono dispiegati nel Sector west, quello in cui la presenza e l’azione di Hezbollah sono maggiori. A Shamaa, ci ha spiegato la senatrice Isabella Rauti di ritorno da una visita nel Paese, si trovano i bersaglieri della Brigata Garibaldi impegnati nell’operazione Leonte XXV, sotto il comando del generale di brigata Diodato Abagnara. Ad al Mansouri, molto vicino alla delicatissima “blue line” con Israele, c’è l’unità di manovra di ItalBatt, che volge operazioni di pattugliamento e sorveglianza, al fine di garantire il mantenimento del cessate il fuoco. Per poterlo fare, il ruolo italiano è necessariamente “super partes”, ricordano dalla Difesa, così come lo è quello dell’intera missione Unifil, tornata lo scorso agosto per la quarta volta sotto il comando di un generale della Penisola, Stefano Del Col.

IL RUOLO DI HEZBOLLAH

Inevitabile dunque “l’imbarazzo” trapelato da palazzo Baracchini per le parole di Salvini, un imbarazzo prontamente ripreso dall’altro vice premier Luigi Di Maio. “Mando un grande abbraccio ai nostri militari e gli dico di tenere duro e andare avanti”, ha detto il numero uno del Mise. Il punto non è se Hezbollah sia terrorista o meno, quanto capire che le parole di un ministro dell’Interno in visita ufficiale hanno un peso diverso da quello di un quotidiano cinguettio via Twitter, con ripercussioni che possono incidere sull’impegno di oltre 1.100 militari italiani. Solo dopo ci sono le sfumature di significato. Che sia o meno terrorista, Hezbollah è una realtà determinante nel già fragile equilibrio libanese. “Per chi conosce il Libano – spiegava in un’intervista a Formiche.net il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi – Hezbollah è un forza sciita ma sopratutto una forza nazionale; agli occhi dell’intera opinione pubblica libanese, cristiani e sunniti compresi, è quella che ha avuto il merito di aver liberato la valle del Bekaa dall’Isis e che ha fermato l’ultima avanzata di Israele nel 2006”. Così, aggiungeva, “Hezbollah si è dunque conquistata una valenza e una credibilità nazionale che va oltre l’aspetto puramente confessionale, e il fatto che abbia registrato un buon risultato elettorale (nelle elezioni dello scorso maggio, quelle da cui ancora non è uscito un governo, ndr) è la conferma di questo”. Infine, “Hezbollah è la forza militare più importante del Paese, anche più dell’Esercito libanese”. Per tutto questo, il messaggio che arriva dalla Trenta: attenzione a giocare con le etichette.

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