Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Tutte le novità del programma F-35 tra Turchia, Australia e Giappone

Dopo la capacità operativa iniziale dichiarata dall’Italia, primo Paese in Europa a centrare l’obiettivo, il programma F-35 raggiunge un nuovo traguardo. I primi due Joint Strike Fighter australiani sono arrivati alla base di Williamtown, nel sud est del Paese. Intanto, mentre dall’Aeronautica Usa fanno sapere che l’eventuale uscita della Turchia dal programma avrebbe un impatto minimo, il Giappone valuta l’incremento della sua partecipazione, che potrebbe prevedere un impegno all’acquisto di altri cento caccia di quinta generazione oltre ai 42 già previsti. In Italia, invece, prosegue la valutazione tecnica promossa dal dicastero della Difesa guidato da Elisabetta Trenta; i risultati sono attesi per l’inizio del prossimo anno.

GLI F-35 ARRIVANO IN AUSTRALIA

“L’arrivo dei primi F-35 stabilmente basati in Australia rappresenta per noi un traguardo storico e siamo orgogliosi del nostro ruolo di pionieri nella progettazione di velivoli di quinta generazione e di produttori di componenti per l’F-35”, ha detto Vince Di Pietro, chief executive di Lockheed Martin Australia. “Ci congratuliamo con l’Aeronautica, con le Forze di difesa australiane e con tutti i partner industriali nazionali che hanno lavorato per trasformare questo obiettivo in realtà”, ha aggiunto. D’altra parte, sono oltre 50 le aziende australiane che contribuiscono al programma di produzione globale dell’F-35. Con una impegno ad acquistare 72 velivoli nella versione a decollo e atterraggio convenzionali (A), il Paese oceanico ha già ricevuto dieci F-35, otto dei quali schierati ancora negli Stati Uniti, presso la base di Luke in Arizona, per prendere parte alle operazioni internazionali di training e formazione.

COME PROCEDE IL PROGRAMMA

L’Australia diventa dunque il settimo Paese a schierare sul proprio territorio l’avanzato aereo di quinta generazione. Segue Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Norvegia, Israele e Giappone, per un totale di 16 basi a livello globale in cui sono operativi oltre 340 velivoli. Più di 700 piloti e 6.500 manutentori sono stati formati e, complessivamente, la flotta di F-35 ha superato un totale di 170mila ore di volo. “Alla fine del 2019 – ha spiegato su DefenseNews Mat Winter, program executive officer del JPO del Pentagono – saranno 500 i velivoli consegnati”. L’obiettivo resta quello di abbassare i costi unitari, arrivando nel 2020 a 80 milioni di dollari per un F-35 A, prezzo paragonabile (se non inferiore) a quello di un caccia di quarta generazione. “L’aumento della produzione continuerà passando per i test operativi che si concluderanno la prossima estate – ha aggiunto Winter – mentre il programma passerà alla produzione a pieno rateo in autunno”.

SE ESCE LA TURCHIA…

Su questa tabella di marcia non dovrebbe influire l’eventuale uscita della Turchia dal programma. Con la determinazione dimostrata da Ankara nell’acquisizione del sistema russo S-400 per la difesa aerea, le distanze con Washington sono aumentate. Oltre a temere lo scivolamento geo-strategico di un importante alleato della Nato verso Mosca, gli Stati Uniti denunciano l’impossibilità di integrare l’S-400 nel sistema di difesa transatlantico, nonché l’eventualità che tale consegna permetta ai russi di carpire preziosi segreti sul caccia americano. Così, in estate, il Congresso aveva chiesto al Pentagono di elaborare un piano che indicasse i costi associati all’eventuale rimozione della Turchia dal programma. Qualche settimana fa, il dipartimento della Difesa ha presentato un report che certifica l’impossibilità di accettare la consegna del sistema russo ad Ankara, invitando i legislatori a lavorare insieme su come procedere. La scorsa settimana, maggiori dettagli sono arrivati dal vice sottosegretario Affari internazionali della Us Air Force Heid Grant. Le analisi del Pentagono, ha detto, mostrano che l’uscita della Turchia “non avrebbe impatti devastanti” sul sistema industriale che realizza il velivolo. In altre parole, il contributo dato dalle aziende turche sarebbe facilmente sostituito.

…E IL GIAPPONE AUMENTA L’IMPEGNO

Chi potrebbe invece aumentare la propria partecipazione al programma è il Giappone, che attualmente prevede di acquistare 42 F-35 A. Qualche giorno fa, Nikkei Asian Review ha rivelato la volontà del governo di Tokyo di predisporre l’acquisto di altri 100 velivoli, sia nella versione A che in quella B, a decollo corto e atterraggio verticale. Quest’ultima verrebbe impiegata (eventualità che è ancora in fase di studio) sui due cacciatorpediniere porta-elicotteri di classe Izumo, punta di lancia della flotta giapponese, considerati essenziali nel contrasto alla crescente assertività di Pechino nel Mar cinese orientale e nella disputa sulle isole Senkaku. L’acquisto di altri F-35 metterebbe però in difficoltà il progetto di un ibrido tra F-35 e F-22 per cui Tokyo ha chiesto informazioni a Lockheed Martin con l’obiettivo di sostituire la flotta attuale di intercettori, gli F-2 di Mitsubishi (programma indigeno basato sull’F-16 di Lockheed) e gli F-15J (evoluzione giapponese dell’F-15 Eagle). Il tutto, non occorre dirlo, si basa sull’intenzione giapponese di modernizzare il complesso della propria difesa, dando forte impulso al budget per il settore.

TEST PER IL SISTEMA AEGIS

Infine, per il costruttore Lockheed Martin è arrivata oggi la notizia su un altro importante prodotto. Un test sull’ultima evoluzione del combat system Aegis ha permesso di intercettare e ingaggiare con successo un missile balistico a raggio intermedio nello spazio. La novità del test, condotto dalla Marina Usa e dall’Agenzia di difesa missilistica (Mda), consiste nel fatto che l’intercettore, partito dal sistema Aegis Ashore alle Hawaii, ha seguito e colpito l’obiettivo grazie al tracciamento offerto da un sistema basato a terra a grande distanza dal sito di lancio. “L’ingaggio – spiega la Mda – ha sfruttato un’architettura di comando e controllo basata su spazio, aria e spazio, collegata dalla suite C2bmc (Command and control, battle management and communications) del sistema di difesa missilistica balistica”. La possibilità di utilizzare dati da sensori remoti aumenterebbe l’efficacia del sistema, compreso quello dispiegato in Romania (con annessa insofferenza russa) e quello ancora in fase di dispiegamento in Polonia (con altra abbondante insofferenza russa).

×

Iscriviti alla newsletter