C’era tanta fibrillazione attorno alla data del 10 gennaio, giorno dell’insediamento di Nicolás Maduro per il secondo mandato come presidente del Venezuela. Dagli Stati Uniti all’Unione europea, gran parte della comunità internazionale ha confermato l’illegittimità delle elezioni del 20 maggio. Si pensava che molti Paesi avrebbero tagliato i rapporti con il governo venezuelano, ma non è successo. Così ora l’attenzione si è spostata ad un altro appuntamento, il 23 gennaio, anniversario della caduta del regime del generale Marcos Pérez Jiménez, e data fissata dal presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidó per una manifestazione contro Maduro.
Sulle pagine de El Nuevo Herald, il giornalista ed economista Benjamín F. DeYurre analizza i possibili scenari prima, durante e dopo la fatidica data: “Guaidó ha convocato una riunione nazionale quel giorno, con l’obiettivo di esigere il trasferimento del potere all’Assemblea, la creazione di un governo di transizione e il richiamo ad elezioni democratiche a breve”.
L’opzione che Maduro perda il potere prima del 23 gennaio è ancora sul tavolo. Il Fronte istituzionale militare ha invitato le Forze Armate del Venezuela a riconoscere Guaidó come presidente, per evitare spargimenti di sangue durante le proteste. Infatti, lo scontro tra le forze dell’ordine, gli oppositori di Maduro e le bande armate che sostengono il regime venezuelano rischiano di degenerare la situazione. DeYurre considera l’ipotesi che Maduro – come molti altri dittatori – possa fuggire. Tra le destinazioni “protette” Cuba, Nicaragua, Bolivia, ma anche Russia e Cina.
Domenica scorsa Guaidó è stato arrestato dall’intelligence venezuelana, la polizia speciale del regime chiamata Sebin. Era diretto ad una manifestazione nello Stato Vargas, a pochi chilometri da Caracas. Dopo breve tempo è stato liberato e le congetture su quanto accaduto sono aumentate. Si dice che aveva offerto amnistia ai militari, che è stato minacciato di morte insieme alla famiglia, che gli sono stati offerti 10 milioni di dollari in Svizzera. Certo è che il giovane politico non si è fermato, si è presentato alla protesta e va avanti con la convocazione del 23 gennaio. Il Venezuela si trova con due presidenti. E sono in corso trattative per un incontro con rappresentati dall’Unione europea, mentre la Chiesa cerca di fare da mediazione per il dialogo.
Intanto, i venezuelani si battono contro una crisi economica senza precedenti nella storia. La moneta locale, il Bolivar Soberano (BsS), è la più svalutata al mondo. Il cambio al mercato nero in una settimana è passato da 1300 a 3500 BsS per ogni euro. Il tasso ufficiale è di 280 BsS. Lo stipendio minimo è di 4500 BsS, quanto costa un chilo di formaggio. Il tasso di omicidi e rapimenti lampo è allarmante: più di 28mila persone sono state uccise nel 2018. Chi è impegnato nella difesa della comunità italiana residente in Venezuela resta colpito di come la città resti vivace, in una ricerca costante di normalità, tra spettacoli teatrali, concerti e attività culturali. Il 23 gennaio si vedrà.