Riusciranno le ormai imminenti elezioni europee a “smuovere” (non nel senso di agitare, ma di offrire una nuova prospettiva) le acque stagnanti della politica italiana?
Se, da un lato, il consenso alla maggioranza gialloverde – pur con oscillazioni sempre più sensibili e nonostante le divisioni e le confusioni interne alla coalizione – sembra tenere sulle politiche interne (migrazione, quota cento e reddito di cittadinanza), dall’altro, quando si parla di Europa le opinioni degli elettori sono più articolate. La maggioranza degli italiani, infatti, è nettamente contraria a uscire dall’euro e, nella recente vicenda, che ha visto il nostro governo retrocedere nel negoziato con la Commissione europea sui saldi di bilancio, una buona parte dei cittadini riteneva necessaria un’intesa. La prospettiva europea, dunque, pur minata dagli errori e i limiti clamorosi dell’Europa su molti dei temi aperti, resta per il nostro Paese un orizzonte turbolento, ma irrinunciabile.
Questo accentua la necessità, soprattutto per gli europeisti, di esplicitare al meglio una strategia di riforma dell’Unione per migliorarla e consolidarla. In tale ottica, da qualche mese, prende corpo l’idea di affrontare la scadenza elettorale del prossimo maggio con schemi e modalità nuove o, perlomeno, diverse da quelle del passato. In un convegno del 23 ottobre scorso, organizzato da ReS (Riformismo e Solidarietà), Paolo Gentiloni ha parlato di un’ampia coalizione (da Tsipras a Macron, per capire ciò che si vuole intendere) per battere il sovranismo. Ed il 12 novembre, in un’altra iniziativa pubblica, organizzata da un insieme di associazioni (Fondazione Achille Grandi, Fratelli Rosselli, Koiné, L’Italia Che Verrà, Mondo Operaio e Riformismo e Solidarietà), Romano Prodi rilanciò l’idea di una lista larga di centrosinistra (auspicando, peraltro, che un analogo schema fosse utilizzato anche a destra). A monte di questi due eventi, il 17 ottobre, sostenni su Formiche questa necessità.
Nei giorni scorsi la proposta è stata rilanciata e se ne è fatto portatore Carlo Calenda, assieme ad altri autorevoli esponenti della società italiana. Calenda ne aveva già parlato lanciando, qualche tempo fa, il “fronte repubblicano”. Quel progetto non decollò; forse perché era prematuro, ma soprattutto perché la stessa definizione di “fronte repubblicano” alimentata dagli equivoci interpretativi – non attribuibili a Calenda – il principale dei quali era la ambiguità sui confini, a destra (e a sinistra), di tale lista.
Il Manifesto del progetto “Siamo europei”, non lascia adito a dubbi: una lista ampia di centrosinistra è la proposta uscita qualche giorno fa. Una buona proposta, alla quale ho aderito convintamente. Innanzitutto perché si propone di unire un mondo diviso. Ma, come abbiamo appena detto, senza ammucchiate. In secondo luogo, ma politicamente prioritario, perché parla non solo, e forse non tanto, al mondo dei partiti, bensì alla gente. La tanta gente che delusa ha lasciato la partecipazione civica (a cominciare dal voto!) e a quella, ancor più numerosa, che non condivide le politiche (e gli atteggiamenti) di Salvini e di Di Maio, ma che non trova negli stanchi riti finora praticati dalla politica vincente (incompetenza, arroganza, manicheismo) e di minoranza e a sinistra (polemiche, divisioni, presunzioni) la risposta alla loro domanda di partecipazione civica.
Hanno fatto bene i principali candidati alla segreteria del Pd a rispondere positivamente all’appello di Calenda. Mentre si svolge un congresso celebrato purtroppo in ritardo e non caratterizzato da particolare entusiasmo (la scarsa partecipazione al voto è un sintomo da considerare con molta attenzione!), l’apertura di uno spazio più ampio di azione politica non riduce, anzi esalta, il ruolo del principale partito del centro sinistra. Più delicato appare il problema dell’adesione delle componenti a sinistra del Pd. L’osservazione di Calenda sulla necessaria chiarezza rispetto alle alleanze future, come discriminante per partecipare alla lista comune, è ragionevole. Cioè, se la ratio della lista larga è un “cartello” contro i sovranisti, non è logico che vi partecipino coloro che, invece, intendono allearsi con loro. Ecco che Forza Italia, che è già alleata alla Lega, è anche per questo fuori dal perimetro. Ecco, al contempo, che Leu (o quel che ne rimane) e dintorni, se teorizza la possibilità di un’alleanza con 5Stelle si autoesclude. Ma, per Forza Italia esistono anche altre ragioni (il confronto politico elettorale Prodi-Berlusconi è ancora vivo nella memoria dell’elettorato, compreso molta parte di quello moderato che sostenne l’Ulivo prima e il centrosinistra poi), che rendono impraticabile o sconveniente, anche elettoralmente, un fronte comune.
Diversamente, nel caso delle forze a sinistra, è utile affrontare e provare a risolvere questa questione. Non perché non esistano dolorosi motivi di scetticismo (la recente, inutile e anzi dannosa e, per giunta, fallimentare scissione dal Pd brucia ancora), ma perché lo sbandamento del mondo di sinistra è evidente e, probabilmente, con buona pace delle affermazioni di alcuni dirigenti, quel popolo non trova più nei 5 Stelle la sponda politico elettorale, tanto più dopo la verifica di questi mesi di governo. Il rischio, quindi, di una definitiva dispersione di una parte di quell’elettorato è un problema che non può essere trascurato da chi si propone un progetto ambizioso qual è la lista larga, che, oltretutto, alla prova del voto, ha bisogno di una conferma ben superiore di quella ad oggi attribuita al centrosinistra.
Vale, a questo proposito, la pena ricordare che quando Zingaretti lanciò per primo nel Pd, un paio di settimane prima del manifesto di “Siamo Europei”, la proposta della lista larga ottenne il consenso dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini e del sindaco di Parma Pizzarotti, che è anche Presidente di “Italia in comune”, il movimento dei sindaci. I presupposti per un chiarimento, dunque, ci sono.
A tale chiarimento si deve affiancare una coraggiosa riflessione sui contenuti che, pur mediando tra le diverse posizioni in campo, rafforzi ciò che unisce. Voglio presumere che la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, alla disoccupazione e all’emarginazione sociale; l’accoglienza nella sicurezza o l’equità fiscale non siano motivo di divisione tra i progressisti e i riformisti, più o meno radicali. Ebbene mettiamo in campo questa sensibilità, facciamo in modo che si rappresenti un linguaggio comune a livello europeo. Una piattaforma elettorale comune transnazionale. In questo frangente storico, così segnato dalla cultura nazionalista, non sono particolarmente preoccupato dei dettagli dei programmi o dell’assoluta precisione degli aspetti di merito. Ciò che oggi appare urgente e indispensabile è rilanciare valori di riferimento che riscuotano le coscienze.
Dopo dieci anni di crisi economica, che ha svilito i valori di fondo della solidarietà e dell’uguaglianza, bisogna far ripartire un movimento che li riscatti e li renda nuovamente trainanti di una dimensione di impegno collettivo. Sosteniamo, perciò e conseguentemente, anche la necessità e l’urgenza di eleggere direttamente col voto un governo europeo e mettiamo al centro della piattaforma una politica fiscale europea fondata sulla progressività e la semplicità. E così via… Per rispolverare l’inflazionato, ma fortunato slogan: se non ora quando?