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L’Afghanistan è lontano dalla stabilità. Razzo contro un blindato italiano

L’Afghanistan è lontano dalla stabilità. Mentre gli Stati Uniti annunciano un dimezzamento del proprio contingente, talebani ed estremisti aumentano le azioni contro il regime legittimo. Oggi, un razzo è stato sparato verso un blindato italiano, mentre nella notte, nel sud del Paese, un maxi attacco (con tanto di tunnel lungo 800 metri riempito di esplosivo) è stato condotto contro la base dell’esercito afgano di Kandahar.

COSA È SUCCESSO

A circa 20 chilometri da Herat, nell’ovest del Paese, un Rpg è esploso nelle vicinanze di un Lince italiano, mezzo militare blindato impiegato dai nostri soldati. Nella stessa area sono in corso attività di addestramento compiute dai nostri militari nell’ambito della missione Nato Resolute Support, erede di quell’Isaf che partì dopo l’attacco dell’11 settembre. “Nessun allarme, i nostri militari stanno bene e in sicurezza”, riferiscono fonti della difesa. Il razzo, infatti, sarebbe esploso nelle vicinanze del mezzo e avrebbe causato solo danni materiali alla parte posteriore del Lince. I militari italiani hanno dunque eseguito le operazioni di messa in sicurezza per il rientro alla base.

IL COMMENTO DI TRICARICO

“Ci sono sempre dei rischi, anche quando si conducono attività addestrative”, ci ha fatto notare il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa e già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica. “Oltre all’Afghanistan, tutti i teatri operativi in cui siamo impegnati, da quelli di più vecchia data come i Balcani, passando per il Libano e l’Iraq, sono sempre portatori di rischio, sebbene di diversa intensità e di differente natura”, ha rimarcato. Per questo, “sicuramente, non si tratta di teatri che si possono definire di aiuto umanitario”.

UN BERSAGLIO ITALIANO?

Tradizionalmente, il rischio di subire attacchi “è mitigato per l’Italia”, ha spiegato ancora Tricarico. Ciò avviene sia “per il semplice fatto di essere italiano, sia soprattutto perché abbiamo sempre preferito, tra l’altro in maniera molto perentoria, formare il personale più che impegnarci in attività operative contro bande criminali, terroristiche o comunque opponenti al regime legittimo”. Ebbene, ha notato l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, “pur con queste considerazioni di posizione di sostanziale vantaggio rispetto a chi si presenta con compiti più combat, un rischio sussiste sempre”. Per quanto riguarda l’attacco, “è una fortuna che non abbia causato danni”.

UN AFGHANISTAN INSTABILE

D’altra parte, il Paese è da mesi alle prese con una difficile ricerca di stabilità. Lo scorso ottobre, l’attentato che uccise l’ufficiale a capo della polizia afgana, Abdul Raziq, sarebbe in realtà stato diretto conto lo statunitense Scott Miller, comandante di tutta Resolute Support, senza dubbio l’attacco più sfacciato condotto contro l’impegno Nato. È stato solo l’apice di una tensione palpabile, in cui Talebani e altri gruppi estremisti hanno aumentato la propria azione. L’ultima prova giunge sempre oggi dal sud del Paese, con l’attacco in grande stile condotto contro una base dell’Esercito nella provincia di Kandahar. Dopo aver scavato un tunnel di 800 metri sotto la base, i talebani lo hanno riempito di esplosivo e fatto saltare. All’esplosione notturna è seguito uno scontro a fuoco, che avrebbe provocato la morte di 6 militari afgani (secondo gli attaccanti sarebbero 35).

L’IMPATTO DEL RITIRO AMERICANO

Su tali fragilità potrebbe influire non positivamente l’annunciato dimezzamento del contingente americano, attualmente pari a 14mila unità. “Ogni volta che c’è un annuncio di depotenziamento degli impegni, il rischio aumenta; è un teorema banale per chi ha un minimo di esperienza di presenza all’estero”, ha spiegato il generale Tricarico. “In genere questi annunci non si fanno; Trump ha sbagliato a non concertare la cosa con gli alleati; c’è anche un fatto di galateo istituzionale nei rapporti con gli altri Paesi”. In tal senso, “l’allontanamento del generale James Mattis da capo del Pentagono appare un fatto molto negativo”.

LA PRESENZA ITALIANA NEL PAESE

Nel Paese, tra Herat e Kabul, ci sono circa 900 militari italiani, con la previsione di una prossima riduzione di almeno 200 unità, in linea con quanto ribadito di recente dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta nel presentare al Parlamento la proroga per l’ultimo trimestre dell’anno (che restava difatti scoperto, giuridicamente e finanziariamente, dallo scorso settembre). Agli uomini si aggiungono per ora 48 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei. Cuore della presenza italiana è il Train advise assist command West (Taac-W) con base a Herat, dedicato alle attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle istituzioni e delle Forze di sicurezza locali concentrate nella regione ovest. Dallo scorso giugno, il comandante del contingente nazionale e del Taac-W è il generale Salvatore Annigliato.

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