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Vi racconto mio padre, Giulio Andreotti. Un ritratto tra pubblico e privato

Il 14 gennaio di cento anni fa nasceva Giulio Andreotti, l’uomo che più di ogni altro ha rappresentato la costruzione della Repubblica italiana passando, non senza turbolenze, tra i marosi della transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica e riuscendo a mettere anche un piede nella Terza.

La ricorrenza, a sei anni dalla morte, è stata celebrata a Roma attraverso alcuni eventi tra i quali due mostre fotografiche, convegni istituzionali e la presentazione del libro “I miei santi in Paradiso”, scritto da Leonardo Sapienza e Roberto Rotondo ed edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

All’evento, andato in scena nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a pochi metri dallo studio che per 20 anni è stato l’ufficio da senatore a vita di Giulio Andreotti, erano presenti anche due figli del senatore, Stefano e Serena Andreotti. Il volume è un’inedita raccolta di dialoghi e lettere private di Andreotti con alcune delle figure più rilevanti del cattolicesimo italiano: da Giorgio La Pira a don Primo Mazzolari, da don Carlo Gnocchi a don Zeno Santini, ma anche San Paolo VI, san Giovanni XXIII, san Giovanni Paolo II, san Pio da Pietralcina e Madre Teresa di Calcutta.

A margine della presentazione Formiche.net ha parlato con Stefano Andreotti che ha tratteggiato un profilo privato e pubblico del padre.

Cento anni fa nasceva suo padre. Perché sono importanti queste manifestazioni?

Sembrava giusto, a me, ai miei fratelli e a mia sorella Serena che vive qui a Roma, fare un regalo a mio padre. La nostra famiglia ha organizzato la mostra fotografica che abbiamo inaugurato il 14, il giorno del centenario, alla biblioteca del Senato e una bellissima mostra a San Salvatore in Lauro che ha visto una partecipazione incredibile. Inoltre c’è stato un altro graditissimo evento, un po’ più spirituale, che ha ricordato, attraverso le sue lettere i rapporti che mio padre ha avuto con i Santi che ha conosciuto e si vede un suo lato diverso. Credo che lui sia contento che i figli gli abbiano fatto questo regalo.

Quanto tempo ci vorrà per capire a pieno una personalità complessa come quella del senatore Giulio Andreotti?

Credo ci vorrà un po’ di tempo per capirlo. Elaborare giudizi compiuti su mio padre, soprattutto in un mondo così controverso come l’attuale, è molto difficile. Forse non li vedrò nemmeno io, magari mio figlio.

Durante il convegno si è parlato dei trascorsi di suo padre con la giustizia. Secondo lei eventi di questo tipo possono aiutare a raccontare anche un’altra storia? Viceversa cosa servirebbe?

Questa è una bella domanda. Diciamo che chi ha una certa idea non cambia opinione. Quello che si può fare è entrare nei dettagli delle varie sentenza, perché anche le stesse sentenze a volte sono presentate in modo molto diverso da quello che sono in realtà. A noi non piace stare a puntualizzare, anche se io mi ci faccio l’animo amaro e per un lungo periodo l’ho fatto ogni volta. Alla fine abbiamo smesso perché saltano fuori sempre i soliti personaggi a mistificare la realtà, ci abbiamo messo una pietra sopra. Quello che le posso dire è che mio padre è morto con la coscienza a posto.

Com’era avere in casa l’uomo più importante della storia repubblicana italiana?

Per noi non era questo, noi lo chiamavamo babbo e siamo stati una famiglia, nei limiti del consentito, più normale possibile. Siamo quattro figli e ognuno di noi ha fatto una vita propria. Certo il nostro cognome era pesante ma, per essere onesti, qualche agevolazione l’abbiamo avuta. Io ho lavorato per più di quarant’anni in un’azienda e non le nego che qualche porta si sia aperta anche per il mio cognome. Ma in definitiva la vita di tutti i giorni è stata uguale a quella di tutti, anche nei periodi neri in cui in Italia c’era il terrorismo noi abbiamo sempre girato senza scorta o protezione, forse eravamo un po’ incoscienti. Ho avuto amici in tutti i campi, amici ricchissimi e poverissimi.

Si è parlato del rapporto di suo padre con la religiosità. Ma allora non è vero che Andreotti parlava con i preti mentre De Gasperi parlava con Dio?

Mio padre aveva questo gusto fantastico per la battuta, tante sono diventate aforismi. Ce n’è un altro pure molto famoso: “A me la Germania piace talmente tanto che ne preferisco avere due”. Questo non significa che mio padre fosse contrario all’unificazione della Germania ma, come ha detto anche lui più volte, credeva fosse meglio procedere per gradi e non dalla sera alla mattina per evitare gli squilibri sugli aspetti economici. Mio padre ha avuto rapporti straordinari con i sacerdoti ma era un profondo cristiano, passava tutti i giorni qualche minuto in meditazione e tutte le mattine se non iniziava la giornata con la messa e la comunione non era contento.

Suo padre è stato il campione del potere democristiano in Italia.

Io direi che è stato uno dei più importanti democristiani perché la Democrazia cristiana è stato un partito con tante anime e persone importanti. Certo mio padre ha avuto la carriera più lunga, lui ha iniziato a fare politica nel ’45 alla Consulta nazionale, fino al ’91 parlamentare e poi senatore a vita per altri 20. Una carriera politica di 70 anni, non pochi.

Secondo lei oggi all’Italia cosa manca di quel periodo.

È cambiato il mondo ed è normale che si cambi. Mio padre stesso è cambiato negli ultimi anni, non era più in politica attiva, ma si rendeva conto che, giustamente i tempi cambiano. Quello che non mi piace della politica di oggi è che si urla e si strilla troppo, l’avversario è il nemico da aggredire. Prima c’era più correttezza anche tra partiti agli antipodi. Un altro aspetto che non mi piace è che non si crede più nel mestiere del politico e lo si vuole rilegare a un’esperienza di pochi anni, come se si potesse passare dal fare, ad esempio, il gelataio o il direttore di banca, ai banchi parlamentari. Io credo che tra qualche anno si andrà a rivalutare l’importanza della preparazione e dell’esperienza perché quando si ricoprono ruoli importanti, anche di governo, senza avere il background necessario alla fine i risultati si vedono tutti.

Cosa c’è di moderno nel lascito di suo padre?

Una grande attenzione a tutto ciò che riguarda i problemi sociali. Pensiamo al problema della migrazione che sta sconvolgendo il mondo, sicuramente lui l’avrebbe affrontato in un modo un po’ diverso, credo che avrebbe fatto in modo di supportare anche l’aspetto umano e non solo economico.

Se lei potesse decidere una cosa per la quale, da qui a cento anni, suo padre fosse ricordato, cosa sceglierebbe?

Io vorrei che gli venisse riconosciuto il ruolo avuto per la politica estera italiana. Lui si è battuto per far crescere la collaborazione e il dialogo tra i Paesi arabi e Israele.



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