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Anna Di Costa, la donna che non voleva fare il posto fisso

“Cosa vuoi fare da grande?”. “Io voglio fare il posto fisso!” è la risposta di Checco Zalone-bambino nel film Quo vado?, il vero e proprio manifesto dell’italica ossessione per la saldatura dell’essere umano alla scrivania, statale naturalmente o perlomeno pubblica.

Secondo un’indagine di SWG del luglio 2018, l’81% dei giovani tra i 18 e i 24 anni aspira a un posto fisso. Non è tanto importante l’attività che si svolge, perché ciò che conta è che non ti possano licenziare, mai. Solo il 19% degli intervistati ha dichiarato di essere disposto a rischiare per avviare una propria attività.

Anna di Costa, che Telos A&S ha intervistato per il mensile PRIMOPIANOSCALAc, rientra senza dubbio in quel 19%. Leggi l’intervista. Qualche anno fa era un’insegnante di ruolo nella scuola pubblica, con posto fisso, ferie e malattie pagate, tredicesima e chi più ne ha più ne metta. Tutti quei diritti che l’81% dei giovani italiani vedono come un obiettivo a cui tendere. Poi, senza voltarsi indietro, ha lasciato tutto per occuparsi della ditta di famiglia. Sarebbe ingiusto affermare “Ah ma aveva un’azienda sua, così sono bravi tutti!”: chi conosce un po’ di economia è perfettamente consapevole di quanto sia diventato difficile tenere in piedi e far crescere una piccola impresa.

A quanto pare ci sono persone che amano le missioni impossibili e che, con la loro tenacia, riescono a dimostrare a sé stesse e al mondo che questo aggettivo viene talvolta usato a sproposito. La storia di Anna è a lieto fine. È riuscita, insieme al fratello Enzo, a far crescere la Di Costa da piccolo laboratorio di pasticceria a Di Costa Spa, e a farla diventare un’azienda capace di esportare in tutto il mondo. Bravura, visione, intelligenza, passione, un po’ di fortuna… Certo, Anna Di Costa ha avuto tutto questo, tanto che siamo qui a raccontarne i successi. Ma la domanda che ci dobbiamo porre è: come abbiamo fatto a distruggere l’ottimismo dei ragazzi, facendoli diventare, per l’81%, dei nostalgici di un posto fisso che, nella maggior parte dei casi, non avranno mai? Perché non si battono per cambiare le regole del lavoro autonomo – più soldi, meno tasse e maggiore riconoscimento sociale – invece di agognare a qualcosa che è destinato a svanire gradualmente? Dobbiamo loro almeno una risposta.

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