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La cattura di Battisti chiude un’epoca. Perché è giusto celebrarla

Non credo di esagerare nel dire che con la cattura di Cesare Battisti la lunga storia del terrorismo italiano sia finita. Ed è questa fine che andava celebrata e che a ragione le istituzioni e le forze oggi al governo hanno celebrato. La stessa reazione scomposta delle opposizioni, che sono arrivate a parlare di “parata di regime” a proposito della presenza a Ciampino del ministro degli Interni e di quello della Giustizia, denota a mio avviso la presenza di un nodo non risolto nella coscienza italiana.

Il fatto è che il terrorismo di sinistra poté seminare tanti morti perché godette di una vasta complicità, anche e soprattutto fra gli intellettuali. Furono veramente in tanti che, nel momento di scegliere da che parte stare, pensarono in cuor loro, e qualcuno pure disse, che era giusto stare “né con lo Stato, né con le Brigate Rosse”. Lo Stato repubblicano infatti era stato vissuto da costoro, per tutto il periodo repubblicano, come un usurpatore, come una cricca di potere che aveva confiscato, dopo la Resistenza, il potere e aveva evitato che in Italia la rivoluzione fosse compiuta. È proprio sul mito della “rivoluzione tradita” che, da una costola del Sessantotto, si costruì la retorica da cui emersero i gruppuscoli terroristi che seminarono poi morte, nel decennio successivo, nelle piazze e nelle strade di tutta l’Italia.

Il Partito comunista ebbe il merito storico di tenere fuori dalla porta i terroristi e di contribuire in modo determinante all’affermazione dello Stato contro l’anti- Stato. Operazione tanto più meritoria se si pensa che era proprio a sinistra che il mito della “rivoluzione tradita” allignava, tanto che Rossana Rossanda poté parlare con onestà intellettuale, in uno storico articolo de Il Manifesto, di un’ “aria di famiglia” che traluceva dai comunicati e dai programmi dei terroristi. A sinistra del Pci, ripeto soprattutto fra gli intellettuali, l’azione terroristica veniva invece se non approvata per lo meno equiparata a quella dello Stato. Il nostro veniva considerato uno “Stato di polizia”, che reprimeva “compagni” che forse “sbagliavano” ma che andavano capiti e verso i quali andavano usate tutte le attenuanti. Nonostante che spesso fossero delinquenti comuni e feroci assassini di innocenti come Battisti.

L’azione propagandistica di questa intellettualità fiancheggiatrice si è protratta per anni, e superando le frontiere si è diffusa in tutti i continenti. L’Italia, come ebbe modo di dire l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non ha avuto la forza, e forse nemmeno il credito internazionale, per far capire che la sua lotta al terrorismo si era svolta, al contrario di ciò che era accaduto in molti altri paesi, nella cornice della giustizia, della democrazia e della libertà. Le connivenze di cui ha goduto Battisti fino a pochi mesi fa si inseriscono in questo contesto.

La sua cattura, proprio perché segnala simbolicamente a fine di quel clima, assume un rilievo generale e va salutata e celebrata con il massimo clamore possibile.


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