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Bolsonaro non è Belzebù. E le affinità con Salvini lo rendono un partner strategico

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Jair Bolsonaro si è ufficialmente insediato come presidente del Brasile. “Mi presento davanti alla nazione in questo giorno che possiamo considerare quello nel quale il popolo ha iniziato a liberarsi del socialismo – ha dichiarato nel suo discorso – dell’inversione dei valori, del gigantismo della macchina statale e del politicamente corretto”.

Il nuovo presidente ha indicato le linee guida del suo governo, dichiarando che “rispettando i principi dello stato democratico di diritto, guidati dalla nostra Costituzione e con Dio nel cuore, a partire da oggi, metteremo in pratica il progetto che la maggioranza del popolo brasiliano ha democraticamente scelto, promuoveremo le trasformazioni delle quali il paese ha bisogno”. Abbiamo risorse minerali abbondanti, terre fertili benedette da Dio e un popolo meraviglioso – ha aggiunto -. Abbiamo una grande nazione da ricostruire e lo faremo insieme”.

In una conversazione con Formiche.net, Carlo Cauti, giornalista del settimanale brasiliano Veja, spiega quale sarà l’agenda del suo governo, le nuove sfide politiche, economiche e sociali, il rapporto con altri partner internazionali e il ruolo del Brasile nei nuovi equilibri geopolitici globali.

Bolsonaro si è insediato come presidente. La sua battaglia annunciata contro il socialismo aprirà la strada alle privatizzazioni e libero mercato o sarà una trasformazione progressiva? Come prevede i primi mesi di presidenza?

Il governo sicuramente porterà avanti una serie di privatizzazioni che sono state anticipate in campagna elettorale. E che sono anche necessarie perché solo il Brasile ha centinaia di aziende statali, le quali sono assolutamente inefficienti e portano gravi problemi per il bilancio pubblico. Sono un peso per le casse dello Stato, poiché generano soltanto perdite ogni anno, oltre ad essere sacche dove i politici piazzano i loro amici – come in Italia le pubbliche – quindi, le statali vanno sicuramente privatizzate. Non è una cosa facile perché il Brasile ha un’organizzazione complessa e per intervenire in molte di queste statali c’è bisogno dell’approvazione del Congresso, però sicuramente una parte del cammino è aperto dal governo. Sicuramente il governo di Bolsonaro dovrà portare avanti una serie di riforme strutturali dell’economia, sia per aprire l’economia brasiliana al mondo – è una delle più chiuse per quanto riguarda il commercio internazionale -, sia per quanto riguarda le riforme del bilancio pubblico. Il Brasile sta soffrendo la più grande crisi fiscale della sua storia. Ha un deficit primario di circa 159 miliardi di reales, che sono più o meno il 2,5%, ma il deficit nominale arriva a 7-8%, cioè, come la Grecia nel momento del crack. C’è bisogno di queste riforme, la più importante sicuramente è quella della previdenza sociale, delle pensioni, che è molto complicata da realizzare, ma senza la quale il Paese cammina ad ampi passi verso il default.

Il New York Times ha scritto che ci sono già stati cambiamenti in Brasile, in materia ambientale e di controllo delle armi. Quali saranno, secondo lei, i prossimi passi di trasformazione nel Paese?

Non ci sono ancora stati questi cambiamenti. Il Nyt ha scritto una serie di cose sbagliate anche su Bolsonaro candidato – e ora Bolsonaro presidente -. Approfitto per sottolineare come giornalista che devo biasimare il modo di scrivere sulla vittoria di Bolsonaro da parte della stampa nazionale e internazionale. È stato dipinto come Beelzebub, quando in realtà è un candidato eletto dal popolo democraticamente perché la maggior parte dei brasiliani condivide le sue idee. Non ci sono rischi democratici in Brasile, non ci sono rischi di regressioni violente. Non ci sono massacri per le strade di oppositori politici né di omosessuali.

Ci sono cambiamenti nel controllo delle armi e sull’ambiente. Ma non è che Bolsonaro può fare quello che vuole perché c’è un Congresso nazionale che approva le leggi, che non può essere bypassato. Lui non ha una maggioranza di partito, per cui dovrà creare una maggioranza di coalizione e questo vuole dire anche negoziare. Per quanto riguarda le armi, l’idea è rendere il porto di armi come la patente: semplice di ottenere. Che però non è così semplice come in Italia perché in Brasile ci sono test psicologici che noi non abbiamo. Non sarà un far west, ma saranno a disposizione di precise categorie di persone che possono dimostrare di avere un reddito fisso, di avere superato questi test psicologici, ecc. Sull’ambiente c’è un problema che riguarda le riserve di indigeni e un altro l’Amazonia.

Quali?

Le riserve indigene sono state molto polemiche negli ultimi anni perché impediscono qualsiasi tipo di sfruttamento del terreno per l’opera pubblica e queste riserve arrivano ad essere più grandi di alcuni Paesi europei […] e in alcuni casi ci sono zone dove gli indigeni che abitano lì, quindi c’è un problema di proporzioni. Queste aree sono state create dal governo brasiliano ma sotto pressioni di ong e di governi stranieri che però non sempre agiscono nell’esclusivo interesse degli indigeni, ma anche interessi nascosti e di agende proprie. Quando Bolsonaro parla della riforma della determinazione delle terre indigene lo fa perché coincidono ‘casualmente’ con riserve di minerali e commodities grandissime e gli unici che possono operare lì sono queste ong. C’è anche il rischio – e questo lo dice il presidente – che questi territori possano volere dichiarare l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli. Sull’Amazonia c’è un interesse evidente di grandi proprietari terrieri che vorrebbero arrivare ad alcune aree considerate non coltivabili però ci sono alcune questioni da vedere nel dettaglio. Ci sono zone molto distanti dalla foreste che potrebbero essere sfruttate. Ma ci sono anche trattati internazionali vincolanti che non possono essere stracciati dal presidente.

Ci sarà un avvicinamento agli Stati Uniti?

Ci sarà sicuramente anche un allineamento con gli Stati Uniti. Ma per reazioni ad una politica estera portata avanti dagli altri governi del Partito dei Lavoratori in allineamento con altri governi di sinistra, come ad esempio Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua. È una reazione ad una politica estera che non solo non ha portato benefici palpabili per il Brasile perché l’unico beneficio è stata la presenza di medici cubani in zone periferiche […] ma c’era un problema ideologico. Questo ha portato una repulsione da parte dei brasiliani a questo tipo di politica estera. Si torna agli Stati Uniti perché porterà sicuramente più vantaggi economici e politici, e con alleati come Israele – Bolsonaro ha già detto di portare l’ambasciata brasiliana da Tel Aviv a Gerusalemme -. Si potrebbero creare nuovi problemi con la Cina, che è il principale partner commerciale del Brasile, ma anche con i Paesi arabi che sono compratori di carne bianca brasiliana.

Il governo di Bolsonaro contribuirà alla risoluzione della crisi venezuelana? E agli equilibri della regione?

Mike Pompeo ha detto chiaramente che l’interesse è di collaborare per risolvere la crisi del Venezuela. Il Brasile non ha interesse di intervenire direttamente né per rovesciare il governo di Nicolás Maduro né con forze di pace. Intervenire sarebbe entrare in uno scenario molto peggiore a quello che hanno dovuto affrontare gli americani in Irak […] La presenza di milioni di migranti venezuelani che già oggi affolla la frontiera con il Brasile, creando non pochi problemi logistici ed economici perché lo Stato brasiliano che garantisce loro assistenza. Ci sono anche problematiche sociali perché questi migranti venezuelani superano anche la popolazione locale nel Roraima, generando situazioni di intolleranza.

Il Brasile ha interesse verso un miglioramento della crisi venezuelana, ma non in maniera traumatica. Si farà aumentando la pressione sul governo di Caracas, senza dubbi, come durante il governo Temer. È escluso l’intervento militare, salvo eventualmente situazioni di ultimo minuto. Il Brasile di Bolsonaro cambierà orientamento politico e diplomatico: metterà in primo luogo gli interessi dei brasiliani e dopo gli altri. Si prevede un allontanamento dal Mercosur, se questo blocco economico non dovesse evolversi in maniera efficiente e più liberale, per non rimanere quella gabbia che è oggi, imponendo barriere doganali e bloccando ulteriori accordi. Come nel caso del Brasile con l’Unione europea. Il Brasile manterrà la sua egemonia soft, ma gli equilibri della regione cambieranno. Ci sarà sicuramente un cambiamento nella politica estera brasiliana per quanto riguarda l’America latina.

Qual è lo stato della vicenda Cesare Battisti? Cosa pensa succederà ora?

Cesare Battisti è latitante in Brasile. Il presidente Temer, anticipando quello che avrebbe fatto Bolsonaro, ha revocato l’asilo politico l’ultimo giorno del suo mandato, asilo concesso in aperta violazione di tutti i trattati internazionali, tra cui quelli firmati con l’Italia. È stato un vero atto di pirateria internazionale vero e proprio, quello di Lula da Silva. Battisti ha anticipato i tempi e si è dato alla fuga ed è irreperibile. Si dice che possa essere andato in Bolivia, dove aveva già cercato di scappare nel 2015, o nell’ambasciata di qualche Paese amico, come il Venezuela, Cuba o Bolivia. La polizia federale brasiliana sta portando avanti le indagini in maniera discreta. Il polverone che si era alzato dopo la notizia della fuga si sta dissolvendo. Sicuramente ci sono anche agenti della polizia italiana che stanno seguendo il caso. Il giorno in cui Battisti dovesse essere arrestato sarà sicuramente estradato, immediatamente, in Italia. Bolsonaro ha ripetuto – anche a me quando l’ho intervistato – che l’intenzione è rimandarlo in Italia perché è finita l’era della collusione ideologica tra i governi di sinistra in Brasile e terroristi come Battisti.

Resterà Bolsonaro un partner di Salvini? Quale sarà il rapporto Italia-Brasile?

I rapporti Italia-Brasile sono interessanti. In questo momento il Brasile si trova in una contingenza politica che lo rende il più vicino possibile all’Italia. Nel programma di governo di Bolsonaro, ad esempio, si citano solo tre Paesi: Stati Uniti, con cui si vuole lavorare in maniera più stretta; Israele e Italia. Bolsonaro, che ha origini italiane, ha interesse a lanciare rapporti con il nostro Paese. A maggior ragione avendo l’Italia in questo momento un governo guidato da Matteo Salvini, che è molto affine ideologicamente a Bolsonaro. Ci sarà un aumento dell’interazione tra i due Paesi, vedremo come. Bolsonaro è stato invitato da Steve Bannon a fare parte di questo movimento internazionale di sovranisti, vedremo come questa struttura si articolerà. È interessante sapere che Viktor Orban, che è un altro grande alleato di Salvini, era presente all’insediamento di Bolsonaro in Brasilia e l’ha incontrato. Se un Paese piccolo come l’Ungheria e distante era presente, figurarsi l’Italia che è molto più grande e ha circa 40 milioni di italo discendenti in territorio brasiliani. Ci sarà sicuramente una collaborazione bilaterale, vedremo in quali campi…

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