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La missione di Conte in Niger e Ciad è (anche) un messaggio all’Europa

Dopo Etiopia ed Eritrea, la strategia africana di Giuseppe Conte si sposta in Niger e Ciad, due Paesi considerati strategici per il contrasto allo sfruttamento dei traffici illegali. La visita arriva a pochi giorni dalla tensione registrata nell’Ue sul dossier migratorio e sull’ultima odissea della nave Sea Watch, con annesso dibattito su redistribuzione e accoglienza. Il governo italiano tiene il punto: bisogna trovare una soluzione comune e aiutare i Paesi di origine e transito.

LE PAROLE DI CONTE

“Il Niger ha un ruolo centrale strategico per la sicurezza e la stabilità del Sahel e per gli interessi dell’area del centro e del nord Africa, e di conseguenza dell’Europa”. Così il presidente del Consiglio ha spiegato la sua visita durante la conferenza stampa congiunta con il presidente nigerino Mahamadou Issoufou, ricambiando la visita di quest’ultimo a Roma lo scorso giugno. Un incontro, quello a Niamey, che il premier italiano ha definito “un omaggio” al governo del Paese per “gli sforzi e risultati che il suo sta conseguendo nel campo della lotta al terrorismo e altresì nel contrasto ai gruppi criminali” impegnati nel traffico di vite umane (e non solo). Situazioni che “vedono tante persone cadere nelle loro mani e spesso perdere la vita nel deserto o nel Mediterraneo: non è questo che vogliamo”.

IL MESSAGGIO ALL’EUROPA…

Un messaggio diretto in particolare all’Unione europea, da troppo tempo imbrigliata nel tentativo di trovare un accordo sul complesso dossier migratorio. “Ho lanciato un grido di allarme”, ha spiegato Conte. “L’Europa rischia di franare sotto il peso del problema irrisolto dell’immigrazione; è una cosa seria, un rischio che vedo serissimo”. Da parte sua, ha aggiunto, “l’Italia vuole un’Europa più forte, responsabile, equa, solidale”. Eppure, “a distanza di mesi continuiamo a non vedere sviluppo, nonostante abbiamo affermato nuovi principi”, quelli su cui i 28 hanno trovato l’accordo nel Consiglio europeo di fine giugno. Allora, i leader dell’Ue optarono per la creazione di hotspot nei Paesi su base volontaria, per il controllo delle frontiere esterne con centri di sbarco nei paesi extra-Ue, per il rifinanziamento del fondo per l’Africa, e per azioni basate sulla condivisione e quindi coordinate con gli Stati membri per i salvataggi in mare. Tutto questo sembra però un lontano ricordo, con le divisione tra i Paesi che perdurano.

…E LA STRATEGIA ITALIANA

La proposta italiana resta la stessa circa la situazione emergenziale, condita dalla richiesta di uno sguardo maggiormente focalizzato sui luoghi di origini e transito per il macro-fenomeno del suo complesso. “Inutile pensare di contrastare i flussi migratori semplicemente intervenendo là dove si accendono i riflettori delle tv, sulle situazioni emergenziali”, ha spiegato Conte durante la conferenza stampa. “Bisogna intervenire nei Paesi dove il fenomeno si origina e dove si sviluppa il transito ed è quello che stiamo facendo con il Niger”, ha aggiunto con riferimento alla missione italiana.

I NUMERI DA TENERE D’OCCHIO

D’altra parte, “se guardiamo ai numeri certificati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni – ha aggiunto il premier italiano – possiamo constatare che i numeri dei migranti in uscita dal Niger verso la Libia e l’Algeria si sta drasticamente riducendo ed è la ragione per cui anche in Italia coi nostri sforzi congiunti riusciamo a raggiungere i risultati di una drastica riduzione degli sbarchi intorno all’80% e oltre nel 2018”. Su questa linea, “continuerò ad assicurare la mia più sentita collaborazione anche per tutte le iniziative di collaborazione economica e culturale, in particolare per quanto riguarda la formazione tecnico professionale” rivolta ai giovani nigerini.

IL RAFFORZAMENTO DELLA MISSIONE MILITARE

In tal senso, ha rimarcato Conte, “l’Italia è anche disponibile a incrementare gli sforzi per l’addestramento di Forze armate locali, anche le forze speciali”. Un’opportunità, quella del rafforzamento dell’impegno militare, ribadita oggi anche dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta in un’intervista a Il Giornale. Attualmente, la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin) impegna 92 militari italiani, aumentati rispetto agli ultimi mesi del 2018 per cui la consistenza media ammontava a circa 70 unità. Il pacchetto missioni dello scorso anno prevedeva però un impegno più corposo, autorizzando un dispiegamento massimo di 470 militari italiani, 130 veicoli e due aerei. Numeri che non sono mai entrati a regime vista le titubanze di Niamey su cui (a detta di molti esperti) hanno pesato anche le resistenze dei francesi, forse non del tutto convinti di un potenziamento del ruolo italiano in una zona che considerano di loro competenza. Poi, a settembre, lo sblocco della missione e l’inizio dell’operatività dei primi Mobile Training Teams, gruppi di esperti militari con il compito di formare le forze nigerine al fine di rafforzare le capacità di controllo sul territorio. La missione italiana, che si inserisce nello sforzo europeo e statunitense per la stabilizzazione del Sahel, punta a incrementare le capacità del Paese di contrastare i traffici illegali e le minacce alla sicurezza. Una strategia che ha già dato i suoi frutti, e per cui il governo cerca ora la sponda europea.

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