Dal like all’amen il passo non è breve. Ma Papa Francesco è abituato alle sfide difficili, anche quando si tratta di mettere in crisi le certezze dei comunicatori di professione. È in questa prospettiva che va letto il messaggio per la 53ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali a cui il Papa ha voluto dare questo titolo: “Siamo membra gli uni degli altri (Ef. 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana”.
Certo, il Papa parla ai comunicatori cattolici, ma è difficile sottrarsi alla sua laica provocazione intellettuale. Perché non c’è comunicatore che non abbia ben presente i rischi che internet ha immesso nella nostra vita sociale, a partire dalla “disinformazione e dalla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali”, “dall’uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti” sino ai sempre più preoccupanti e frequenti episodi di cyberbullismo.
Francesco utilizza sapientemente le metafore per mettersi in connessione con il popolo del web. E per farsi capire utilizza ampiamente la metafora della rete (senza un centro e gerarchie, ma con tanti nodi e percorsi) che si rispecchia in quella della comunità (coesa e solidale perché animata dalla fiducia). Dunque il social web viene interpretato in una chiave positiva, infatti il Papa osserva che “mentre i governi cercano le vie di regolamentazione legale per salvare la visione originaria di una rete libera, aperta e sicura, tutti abbiamo la possibilità e la responsabilità di favorirne un uso positivo.”
Ecco, Francesco lancia la sfida a convertire le social network community in comunità umane, dove vince la relazione rispetto alla contrapposizione, dove si rompe l’isolamento di chi rischia di divenire un “eremita sociale”, dove l’identità personale non è definita dalla contrapposizione all’altro ma dalla fiducia nell’altro. Dunque, un processo di umanizzazione della rete che chiama in causa tutti, credenti e non credenti. Un processo nel quale occorre rimettere al centro la consapevolezza sia del male che si può seminare sia del bene che si può promuovere. Un dilemma etico che suonerà pure singolare nel nostro tempo segnato dal relativismo, ma che proprio la vita virtuale può riproporre in tutta la sua drammaticità esistenziale. Se solo le coscienze (laiche o credenti non importa) fossero tutte avvertite.
Qui e ora, come piace anche alla rete. Per dirla con Francesco, se ai credenti si chiede di rispondere al “like” con un “amen” (oggetto della metafora del corpo e della membra che definisce al meglio la relazione di reciprocità tra le persone), forse alle donne e agli uomini del nostro tempo è il caso di suggerire di affiancare al “like” un semplice e generoso “grazie”. Segno quest’ultimo della ritrovata consapevolezza che facciamo tutti parte di una stessa comunità umana, nella quale non possiamo sprecare la nostra vita all’inseguimento esasperato ed esasperante di un nemico. Meglio vivere la rete, come suggerisce il Papa, come luogo “del dialogo, dell’incontro, del sorriso e della carezza…”. Dove l’altro da noi non è un rivale, ma una persona che è un nostro compagno di viaggio.