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Lavoro e giovani, così il mondo si è capovolto. Parla De Masi

Domenico De Masi (sociologo)

Lavoro, ozio e longevità. Sono questi i temi intorno ai quali il prof. Domenico De Masi ha costruito il suo ultimo libro, Il mondo è ancora giovane (ed. Rizzoli), rubando il titolo a un pensiero di Gian Battista Vico. La nostra realtà si presenta con categorie completamente diverse da quelle metabolizzate dalle generazioni passate e orientarsi diventa difficile. Dalla politica, al mondo del lavoro e alle prospettive di vita le generazioni di giovani o giovani adulti devono inventare un nuovo stile e scoprire nuove strade per “diventare grandi”.

Formiche.net ha parlato di questo e dell’attualità politica italiana, dall’introduzione del reddito di cittadinanza ai cambi d’abito del ministro degli Interni Matteo Salvini, con il sociologo De Masi raccogliendo una voce anticonformista, frizzante e fuori dal coro.

Cosa vuol dire che il mondo è ancora giovane?

È una frase di Gian Battista Vico, vuol dire che la storia del nostro Paese è lunghissima, a volte ci appare decrepito, in Europa soprattutto, ma la sorte del pianeta è ancora tutto nelle nostre mani. È una dichiarazione di ottimismo.

Nel suo libro analizza le condizioni di una generazione, quelle dei nati negli anni ’80, che potremmo dire “sprecata”.

Premetto che questo è il migliore dei mondi esistiti fino ad oggi, se non altro per la durata della vita, forse non è il migliore dei mondi possibili. Un 20enne di oggi ha davanti a sé almeno 600 mila ore di vita, in occidente, per quanto si possa vivere male, non si muore male. Questo cambia l’ottica con cui guardiamo la nostra realtà.

La generazione dei millennials si è dovuta confrontare con un mondo del lavoro completamente diverso da quello dei propri genitori. Lei riesce a fare una previsione sul ruolo che avrà il lavoro nel futuro?

Noi abbiamo un problema con il lavoro perché non siamo riusciti a redistribuirlo. In Germania si lavora di media 1400 ore all’anno, in Italia 1800, è normale che ci sia la disoccupazione, basterebbe lavorare meno. Se applicassimo gli orari lavorativi della Germania avremmo 29 milioni di occupati.

Quindi la soluzione sarebbe “lavorare meno, lavorare tutti”.

Questa è l’idea di Keynes, il più grande economista del ‘900. Nel 1930 Keynes pubblicò Prospettive per i nostri nipoti nel quale sostiene che l’avanzare della tecnologia avrebbe ridotto il numero di posti di lavoro. La soluzione sarebbe, appunto, la riduzione dell’orario lavorativo. Se nel 2030 si dovesse davvero ridurre l’orario di lavoro il problema sarà cosa faremo nel tempo libero perché per il tempo libero occorre cultura.

Ecco a tal proposito lei parla di ozio. Che differenza c’è tra l’ozio imposto e l’ozio imposto dall’assenza di occupazione?

Per ozio creativo intendo un tipo di attività nella quale è possibile lavorare per produrre ricchezza, nello stesso tempo il lavoro è divertente, quindi produco benessere, ed è anche stimolante perché imparo, e dunque produco sapere. Io e lei facciamo un lavoro che è ozio creativo. Dovremmo estenderlo a tutti perché i lavori noiosi possono farli le macchine.

Questo significa mutare la nostra economia, preferendo i servizi alla manodopera e trasformando gli operai in professionisti.

Questo è già avvenuto, siamo già tutti scolarizzati, 50 anni fa gli analfabeti erano il 60% mentre oggi sono solo il 3%. Siamo già in una società post industriale in cui i lavori più brutali sono relegati alle macchine e anche l’orario di lavoro è calato. Agli inizi del ‘900 gli italiani erano 30 milioni ma lavoravano 70 miliardi di ore. Ora siamo 60 milioni e lo scorso anno abbiamo lavorato 40 miliardi di ore, producendo 13 volte di più. Quindi oggi anche il lavoro contrattuale peggiore non supera le 40 ore settimanali, in Germania dal 1° gennaio scorso hanno 28 ore settimanali, quasi la metà di quanto lavora un italiano. Il nostro problema è la mancanza di capacità organizzativa.

Secondo lei da cosa dipende?

Sociologicamente è un mistero, non so perché non imitiamo un Paese che è a due passi da noi. È una sorta di idiozia diffusa. I sindacati non hanno mai fatto la battaglia per avere meno ore di lavoro e gli imprenditori sono meno organizzati di quelli tedeschi, in Germania si lavora il 20% in meno e si produce il 20% in più. La produttività non dipende dai lavoratori ma dagli imprenditori e dai manager, noi abbiamo imprenditori e manager di qualità minore che, non essendo capaci di organizzare il lavoro lo prolungano.

Imprenditori e manager che potrebbero spaventarsi sentendo che il settore manifatturiero lascerà il passo all’economia dei servizi…

Già oggi la manifattura produce meno del 30% della ricchezza nazionale, il 70% è prodotto dai servizi.

L’introduzione del Reddito di cittadinanza può essere una risposta alla futura, e in parte attuale, carenza di lavoro?

Certo che è una risposta. Il Reddito di cittadinanza non serve per l’occupazione ma per i poveri. Su cinque milioni di persone che usufruiranno del reddito di cittadinanza quasi due milioni sono vecchi e bambini, non persone che vogliono o che possono lavorare. Ci sono poveri disoccupati che non lavorano come ci sono poveri che lavorano ma che non guadagnano abbastanza. L’Italia, un Paese che è l’ottavo al mondo per Prodotto interno lordo con un Pil pro capite da 36mila euro, produce troppi poveri. Questo perché c’è una divisione della ricchezza che non è minimamente equa, è l’handicap numero uno del capitalismo. In Italia, in questo momento, ci sono 10 famiglie che detengono la ricchezza di 6 milioni di poveri. L’introduzione del Reddito di cittadinanza è un successo per il M5S, è stato da sempre il loro cavallo di battaglia e sono riusciti a farlo approvare dopo pochissimi mesi di governo con un capo di 32 anni. È assolutamente atipico.

Un altro problema atavico è un ascensore sociale quasi fermo.

Non è del tutto fermo, diciamo che è poco efficace perché abbiamo un deficit di istruzione, abbiamo solo il 23% di laureati in questa generazione, nel 1910 si laurearono 6 mila persone, oggi se ne laureano almeno 150 mila. Noi abbiamo il 40% dei giovani in età universitaria realmente all’università, di questi solo il 18% arriva a prendersi la laurea triennale.

Perché secondo lei c’è un così basso numero di iscritti?

Perché c’è il numero chiuso. Noi dobbiamo uscire dall’illusione per la quale la laurea serve per lavorare, è una visione pre-ottocentesca. Nel 1876 il ministro Baccelli introdusse per la prima volta l’obbligo di conseguire la 5° elementare. La critica che ricevette fu sull’inutilità di avere così tanti alfabetizzati. Lui rispose che saper leggere e scrivere non serve a lavorare ma a vivere. Oggi questo vale per la laurea che deve essere completamente sganciata dal lavoro, anche un disoccupato è meglio che sia laureato che incolto.

Se lei dovesse dare un consiglio a un Neet cosa gli consiglierebbe?

Di fare tutto quello che si può anche gratuitamente. Se i disoccupati lavorassero gratis costringerebbero gli occupati a lavorare meno, ampliando così la platea di lavoratori. Se non si è occupati al lavoro bisogna essere occupati nel volontariato, nella politica o nella lotta.

Che intende per “lotta”?

Intendo che le riforme non bastano più. I tempi di implementazione sono così lunghi che quando si realizzano ormai non servono più. La lotta significa alzare la voce e farsi sentire, proprio come stanno facendo i gilet gialli in Francia o quello che hanno fatto gli studenti e i lavoratori in Italia nel 1968. La lotta significa costringere i politici ad ascoltare.

Secondo lei è vero che in Italia non abbiamo avuto movimenti di protesta violenti perché abbiamo avuto il M5S a incanalare quel dissenso?

Non c’è ombra di dubbio. Ogni movimento ha due facce, una di protesta e una di violenza. In Francia i gilet gialli stanno portando avanti una lotta forte ma controllata perché solo una frangia è violenta. Alla fine del 1700 i gilet gialli fecero la Rivoluzione francese ghigliottinando 23 mila nobili, altro che qualche vetrina infranta. L’Italia si è inventata uno stranissimo movimento in cui c’è una parte movimentista e un’altra che invece che essere violenta è ironica. Se ci pensa è davvero di grande originalità. Usando l’arma dell’ironia Grillo ha contagiato i più violenti i quali a loro volta hanno usato l’arma dell’ironia e non ci sono stati disordini.

Ma questa visione del M5S non fa vedere il Movimento più come una forza di reazione che non di rivoluzione. Lei cosa ne pensa?

Tutti i movimenti sono variegati e sono stati ben studiati, quelli pacifici, quelli violenti e quelli sovversivi. Di solito non vogliono cambiare il mondo, hanno poche richieste e sono acefali. Il M5S è anomalo a iniziare dalla traduzione della violenza in ironia. È un caso isolato, vengono da tutto il mondo a studiarci. Un’altra anomalia è che il M5S si è trasformato in partito. Questo processo lo studiò già Michels nel 1930, che tracciò proprio la parabola compiuta dal M5S: da Movimento a partito e, infine, a partito di Governo. È un caso rarissimo, un unicum. Quanti movimenti si sono formati in Italia e in Europa, e quanti sono arrivati al potere? Solo il M5S.

E dopo l’alleanza con la Lega di Salvini secondo lei come va a finire?

La questione si complica perché Salvini è un autoritario di estrema destra e portatore di ideali completamente diversi. Sarebbe stato molto più normale un governo con M5S e Pd ma il Pd non ha voluto e ci ha condannato ad avere Salvini al potere che ogni giorno cambia divisa.

Vede pericoli reazionari all’orizzonte?

Ma non c’è dubbio. Abbiamo un ministro degli Interni contro gli immigrati, con una visione tutta improntata alla sicurezza e che indossa divise militari, cos’altro deve fare per far capire che è autoritario? Io sono stato alla manifestazione di Piazza del Popolo dell’8 dicembre, a me è sembrato che abbia detto cose forti, autoritarie. Ogni autoritarismo arriva in maniera diversa, oggi i golpe non si fanno con i carri armati e il manganello ma democraticamente, come avvenuto in Brasile. Io ho anche la cittadinanza brasiliana, in tre anni lì è arrivata la dittatura, al governo ci sono sette ministri generali dell’esercito. Bolsonaro è amico di Salvini e alle loro spalle c’è Bannon, teorico del sovranismo di destra, che ha affittato per 19 anni l’Abbazia di Trisulti. Insomma, spero che non succeda nulla ma bisogna stare attenti.



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