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Il fantastico mondo di Di Battista (che strizza l’occhio a sinistra)

Deve essere un po’ traumatico per il vecchio uomo di sinistra, chiuso nelle sue certezze organicamente sistemate, accettare l’idea che possa essere Alessandro Di Battista l’uomo del futuro. Ma è evidente che nel Movimento 5 Stelle il ruolo di Dibba sia non solo quello di aprire un dialogo a sinistra in previsione di future alleanze, bensì più radicalmente di sostituire il modo di pensare pentastellato a quello classico che domina da quelle parti. Lo si è capito chiaramente ieri sera quando il nostro è stato ospite della trasmissione di Fabio Fazio, che, come è noto, piace da sempre al ceto medio riflessivo e politicamente impegnato.

La sinistra immaginata sembra essere un mix di antico e di nuovissimo, un recupero delle radici dimenticate con la svolta liberal della sinistra post-sessantottina con un occhio però al mondo che verrà. Vecchia-nuova è la critica alla democrazia rappresentativa, che trova radici già in Karl Marx per non dire di Jean Jacques Rousseau. È vero che anni di pratica riformista hanno fatto sì che oggi agli occhi dei più appaia vero il contrario, ma a sinistra ha sempre allignato una profonda diffidenza per la democrazia “borghese” o “formale”. La quale è stata considerata una sorta di sovrastruttura tesa a mascherare i reali rapporti di forza e ad accettare come “naturali” le diseguaglianze sociali prodotte dalla società capitalista. Nuovissimo è però il fatto che, riallacciandosi a questa critica classica, i grillini abbiano l’occhio rivolto alle nuove frontiere aperte alla democrazia diretta da Internet e in genere dalle nuove modalità di comunicazione. La critica alla democrazia borghese fa poi propria, rispetto al passato, un’idea complottista della storia e si lega a quella lotta alla corruzione su cui si è costruito all’origine il Movimento.

La “presunzione di colpevolezza” tangentizia, a proposito della Tav, non è stata certo buttata da Dibba lì a caso. Di sinistra molto classica è, a ben vedere, l’idea giustificatrice del reddito di cittadinanza, che, nel garantire un salario minimo a chiunque, dovrà per forza di cose tassare chi un lavoro ce l’ha e quindi attuare una sorta di redistribuzione delle ricchezze. Certo, il lavoro era un topos della retorica di sinistra che, in questo in sintonia con i borghesi, pensava alla emancipazione della classe proletaria attraverso di esso.

Nel mezzo però c’è stata la rivoluzione digitale, e probabilmente le tante teorizzazioni sulla “fine del lavoro”, da Jeremy Rifkin a Domenico de Masi, che hanno fatto breccia nell’immaginario dei tanti giovani e meno giovani che hanno votato il Movimento e che un lavoro “vero” in vita loro non hanno mai avuto. Catalogare il reddito di cittadinanza nella categoria dei “diritti sociali”, anzi dei “diritti umani”, come ha fatto Dibba, è anch’esso un chiaro strizzare l’occhio al popolo di sinistra. La sinistra classica era però industrialista e sviluppista mentre nell’immaginario dei nostri circola una ideologia di decrescita, che però in questo caso è stata opportunamente temperata: l’opposizione alla Tav, quasi un punto di principio, non si estende ad altre infrastrutture, che vengono addirittura considerate necessarie.

In un’ottica di sinistra è infine letto anche il rapporto con l’Unione Europea, di cui si critica l’austerità (giudicando “tardivo e ridicolo” il mea culpa di Jean Claude Juncker) e si  immagina un futuro parlamentocentrico. Sorge spontanea però la domanda su che metodo poi il Parlamento dovrebbe essere eletto, vista la suddetta diffidenza dei pentastellati per la democrazia rappresentativa. Quanto all’annuncio del prossimo viaggio in India, esso sembra in linea con la ricerca di una via non materialista alla politica. In definitiva, la visione del mondo di Dibba è certamente confusa, ma è evidente il tentativo di “sfondare a sinistra”.

La sinistra classica, a cominciare dal Pd, o risponde alla sfida immettendo elementi di “populismo” nella sua visione classica della politica e del mondo, o si chiude a riccio ponendo speranze in una improbabile “restaurazione” del passato. Nell’un caso o nell’altro, la strada sembra essere per essa tutta in salita e irta di ostacoli.

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