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Il doppio affondo di Francesco. Via l’Ecclesia Dei, trasferito il coro della Sistina

Sono arrivati in contemporanea due importanti cambiamenti operati da Papa Francesco, due lettere apostoliche in forma di Motu Proprio diffuse in mattinata dalla sala stampa della Santa Sede e che segnano un vero e proprio salto in avanti nella riforma della Curia romana.

LA SOPPRESSIONE DELLA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

La prima riguarda la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il dicastero istituito nell’ormai lontano ’88 da san Giovanni Paolo II con l’obiettivo di accogliere i religiosi, che fossero sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli, legati alla Fraternità San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre che “desideravano rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa cattolica, conservando le proprie tradizioni spirituali e liturgiche”. Facilitandone in questo modo la comunione ecclesiale, dopo lo scisma sancito con la consacrazione episcopale senza mandato pontificio di quattro sacerdoti a Ecône, in Svizzera, soltanto pochi giorni prima.

Ora il Papa, con Motu Proprio, ha assegnato i compiti svolti dalla commissione alla Congregazione per la Dottrina della Fede, “in seno alla quale verrà istituita una apposita Sezione impegnata a continuare l’opera di vigilanza, di promozione e di tutela fin qui condotta dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei”. Una decisione presa per via delle “mutate” condizioni odierne rispetto a quelle che avevano mosso Wojtyła trent’anni prima. “Gli istituti e le comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria hanno trovato oggi una propria stabilità sia di persone, sia di vita”, afferma Francesco nel suo decreto, motivando la sua scelta con il fatto che “questa evoluzione ha portato a poco a poco a ridurre il lavoro della Pontificia commissione”. E che a questo punto rimane il fatto che “le finalità e le questioni trattate dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei sono di ordine prevalentemente dottrinale”. In questo, il desiderio del Pontefice è “che tali finalità si rendano sempre più evidenti alla coscienza delle comunità ecclesiali”.

L’ARTICOLO DELL’OSSERVATORE ROMANO

È poi un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano a chiarire ancora meglio gli effetti della scelta operata da Bergoglio, specialmente per quanto riguarda il cammino della stessa Fraternità San Pio X verso un ritorno in seno alla Chiesa cattolica, che potrebbe ad esempio avvenire in una forma separata dalle giurisdizioni diocesani, come ad esempio con lo status di prelatura personale concessa nell’82 da Giovanni Paolo II all’Opus Dei. “Mutano le condizioni e le circostanze, ma il dialogo continua”, spiega il quotidiano della Santa sede rimarcando ancora la ragione che ha portato il Papa allo spostamento del dicastero e spiegando che “non si tratta quindi di una soppressione tout court, ma di un trasferimento di competenze, visto che l’asse principale su cui verrà impostata l’attività si è ristretto alla sfera dottrinale”.

La decisione di Papa Francesco si inserisce  sulla scia dell’atteggiamento di Benedetto XVI che, a sua volta, con il Motu Proprio “Summorum Pontificum” liberalizzava l’uso del messale di San Pio V, ovvero la cosiddetta messa tridentina mantenuta dal Concilio di Trento fino alla promulgazione del messale romano in seguito il Concilio Vaticano II, dopo l’ultima edizione pubblicata da papa Giovanni XXIII nel 1962 e poi rinnovata nel 1969 con la costituzione apostolica Missale Romanum di san Paolo VI. “Ciò significa che sono stati fatti passi in avanti nella comunione e quindi il Motu proprio attuale offre un implicito riconoscimento alla Pontificia commissione che con i suoi sforzi e la sua attività ha portato a termine i propri compiti”, specifica così il quotidiano della Santa Sede, includendo tra questi la “remissione della scomunica” ai quattro vescovi lefebvriani.

LE PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II E IL COMMENTO DI TORNIELLI

“La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione”, “ma è soprattutto contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi”, scriveva invece Giovanni Paolo II nell’istituzione della commissione pontificia, spiegando che “non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell’apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell’unità nella sua Chiesa”.

Quell’emergenza che si era venuta a creare però oggi, arrivati a questo punto, “non esiste più, grazie anche alla decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’uso del Messale Romano del 1962 (promulgato da san Giovanni XXIII prima dell’inizio del Concilio)”, scrive il direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli in un editoriale su Vatican News, sottolineando che “il Papa ricorda che gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita”, e che “loro esistenza è dunque consolidata, e tutte le funzioni sono trasferite alla nuova sezione che, tra l’altro, si avvarrà del personale fino ad oggi in servizio nella Commissione”.

IL DIALOGO CON I LEFEBVRIANI 

Il punto infatti sta nel dialogo apertosi con la Fraternità di San Pio X. Dopo la liberalizzazione della liturgia tradizionale operata da Ratzinger, l’unico scoglio nel riavvicinamento con la Santa sede resta legato a una questione puramente dottrinale, come precisato dalla Santa sede, seppure all’interno di una “irriducibile divergenza”, come ribadito invece dal nuovo responsabile della Fraternità don Davide Pagliarlani, succeduto lo scorso luglio a monsignor Bernard Fellay, annunciando dopo il passaggio di testimone “di voler chiedere un ulteriore confronto con la Santa Sede sui testi del Concilio Ecumenico Vaticano II”. “Un tema delicato che sarà affrontato dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Luis Ladaria”, ha commentato Tornielli.

“La proclamazione della dottrina cattolica richiede la segnalazione di errori che sono penetrati all’interno di essa, purtroppo incoraggiati da molti pastori, fino al Papa stesso”, scriveva infatti l’ex guida monsignor Fellay, al seguito di un incontro interno con gli esponenti più intransigenti della Fraternità. Tuttavia, subito dopo l’arrivo del nuovo superiore, al termine del ll’incontro con il cardinale Ladaria, la comunità ora guidata da Pagliarani faceva sapere che “tutto spinge la Fraternità a riprendere la discussione teologica”, “ben consapevoli che il Buon Dio non gli domanda necessariamente di convincere i suoi interlocutori, ma di portare davanti alla Chiesa la testimonianza incondizionata della fede”. E si spiegava che “la Santa Sede non dice altro quando afferma in maniera solenne che si potrà stabilire uno statuto giuridico per la Fraternità solo dopo la firma di un documento di carattere dottrinale”. Tutto ciò, per il fatto che “i membri della Fraternità non vogliono altro che servire la Chiesa e cooperare efficacemente alla sua rigenerazione, fino a donare la propria vita per il suo trionfo, se ce n’è bisogno. Ma non saprebbero scegliere né il modo, né i termini, né il momento di ciò che appartiene solamente a Dio”.

LE PROTESTE DEI TRADIZIONALISTI

Il punto della questione però risiede anche nel fatto che la Commissione Ecclesia Dei si era trasformata nel tempo in una sorta di fortezza del mondo tradizionalista, che attacca il Vaticano per via di quella che a loro avviso rappresenta una sorta di “deriva liturgica” accompagnata, in un certo qual modo, proprio da Papa Francesco. Messe cantata, musiche rapsodiche, innovazioni talvolta al limite della stramberia, insomma, manifestazioni indigeste per chi è maggiormente attento alla sacralità del rito cattolico, assieme alla partecipazione alle liturgie sia in calo, come dicono le rilevazioni degli ultimi anni, soprattutto tra i giovani. Un fatto, a dire dei tradizionalisti, scollegato alla celebrazione del rito tradizionale, che a loro parere attirerebbe molti più giovani alla bellezza e alla sacralità della fede cristiana.

“Cade così l’ultima roccaforte del tradizionalismo”, scrive infatti Il Giornale, quotidiano dove il direttore del quotidiano La Nuova Bussola Quotidiana Riccardo Cascioli ha aggiunto, dopo la diffusione della notizia in rete su diversi blog, la possibilità “che il pontefice argentino stia per rimuovere padre Georg Gaenswein dalla prefettura della Casa Pontificia, che verrebbe a sua volta abolita”. Spiegando cioè che “voci sempre più insistenti danno infatti per certa la soppressione della Prefettura della Casa Pontificia”.

IL CORO DELLA SISTINA

Il secondo cambiamento invece è legato alla Cappella Musicale Pontificia, che Papa Francesco ha inserito nell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche “quale specifico luogo di servizio alle funzioni liturgiche papali e nel contempo a custodia e promozione della prestigiosa eredità artistico-musicale prodotta nei secoli dalla Cappella stessa per le solenni liturgie dei Pontefici”. Il responsabile della Cappella Musicale Pontificia diventa il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, monsignor Guido Marini, e il suo compito sarà quello di “guidare tutte le attività e gli ambiti liturgico, pastorale, spirituale, artistico ed educativo della medesima Cappella, rendendo sempre più percepibile in essa e nei singoli componenti il fine primario della musica sacra che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli”.

La gestione economica della Cappella Sistina invece, coinvolta nello scandalo per la gestione dei fondi, sarà guidata proprio dal vescovo che guidava l’Ecclesia Dei, monsignor Guido Pozzo. A cui è tuttavia affidato “soltanto il compito della specifica cura dell’amministrazione economica della Cappella stessa da svolgere sotto la guida del Maestro delle Celebrazioni e Responsabile della Cappella Musicale Pontificia”. “Fin dalla sua antica fondazione e lungo i secoli, la Cappella Musicale Pontificia brillò nella storia di Roma e dell’Orbe cattolico come alto luogo di espressione artistica e liturgica a servizio delle solenni celebrazioni dei Pontefici inizialmente entro la splendida cappella da cui prese il nome, quindi nell’ambito della Basilica di San Pietro, o laddove i Pontefici stimassero necessaria la sua opera”, spiega il Papa nella lettera.

L’USO IMPROPRIO DEI FONDI

Lo scorso ottobre infatti, dopo l’inchiesta per riciclaggio, truffa e peculato, condotta dalla Santa Sede attorno a due conti segreti in cui sarebbero stati nascosti i proventi dei concerti tenuti all’estero, il Papa ha licenziato il direttore della Cappella Musicale Pontificia Sistina, monsignor Massimo Palombella. Che ha così tenuto il suo ultimo concerto lo scorso ottobre, con la celebrazione delle canonizzazioni, in piazza San Pietro, di Paolo VI e di Oscar Romero. Palombella resta tuttavia indagato in Vaticano, insieme all’ex direttore amministrativo del coro Michelangelo Nardella, anche lui mandato fuori da Bergoglio e costretto ad abbandonare il lussuoso appartamento nella sede del coro, in pieno centro a Roma ma in territorio vaticano, spettato prima di lui per molti anni al precedente direttore. Il Papa infatti, dopo essere venuto a conoscenza dell’incresciosa vicenda, ha voluto subito andarvi a fondo con un’indagine “sugli aspetti economico-amministrativi” del coro messa nelle mani del nunzio Mario Giordana, che ha poi portato all’inchiesta penale.

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