Al World Economic Forum di Davos, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è espresso negativamente sull’aspirazione tedesca, sostenuta dalla Francia, a ottenere un seggio permanente all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il punto è delicato, e ancora non è dato sapere se la proposta franco-tedesca sia un mero accessorio della loro ritrovata vicinanza, o se piuttosto sia un’intenzione reale e concreta.
Nel secondo caso, per poter raggiungere il quorum necessario, cioè i due terzi dell’Assemblea generale dell’Onu, Berlino si dovrà mobilitare con tutta la forza a sua disposizione, mettendo in campo una robusta attività diplomatica per trovare l’appoggio del Palazzo di Vetro. Niente di più facile per la Farnesina per capire le reali intenzioni dei tedeschi. Se davvero la candidatura fosse convinta e pronta ad avere spinta diplomatica, l’Italia dovrebbe far sentire la sua voce, senza limitarsi a qualche battuta ripresa dai quotidiani, raramente in grado di scalfire le cancellerie estere.
Su questo punto siamo fortunati, avendo sviluppato a metà degli anni 90 una best practice nel settore. L’allora capo della rappresentanza italiana all’Onu, l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, combatté una vera e propria guerra diplomatica per evitare che il disegno tedesco per un seggio permanente non andasse a compimento. Anche allora, infatti, la Germania aspirava a tale posizione, tra l’altro in un momento sicuramente più favorevole alla sua aspirazione. Oggi, le condizioni per cui questo avvenga sono addirittura più flebili, visto che Berlino si è confermata negli anni piuttosto avara nei confronti dell’Onu. Basti considerare la scarsa spendibilità dei suoi contingenti militari. Se c’è uno strumento militare poco performante è proprio quello tedesco, e non solo a livello europeo. Così, pur in una riorganizzazione delle Nazioni Uniti che pare necessaria per un’equa rappresentanza della comunità internazionale, non è ben chiaro su quali basi Berlino continui ad avanzare la sua rivendicazione.
In ogni caso, la proposta per arginarla è chiara: riprendere la strada segnata dall’ambasciatore Fulci. A lui andrebbero chiesti suggerimenti e consigli che consentano di combattere una guerra come quella che ha combattuto, senza trascurare alcuna occasione (compresi informali pause caffè) per assicurarsi i voti dei Paesi che poi avrebbero causato il mancato raggiungimento del quorum necessario. Si tratta di una battaglia giusta, necessaria a evitare che Berlino faccia perno sulla stessa dimensione economica di cui stiamo soffrendo da anni a livello europeo. Non c’è un interesse diretto per il nostro Paese, ma piuttosto l’esigenza opporsi a un abuso di posizione dominante e di tutelare un principio di equità che verrebbe calpestato al massimo livello internazionale.
Tutto questo rientra nel dibattito interno all’Europa, attraversato in questi giorni dalla firma del trattato di Aquisgrana tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron che ha generato tante preoccupazioni nel nostro Paese, soprattutto rispetto agli impegni di collaborazione che i due hanno ribadito nel campo della difesa. Bisogna essere chiari: chiunque voglia rafforzare l’identità europea è benvenuto, soprattutto nel settore strategico della sicurezza e difesa. Eppure, in questo caso, trattandosi di due Paesi che vivono ancora in modo molto forte la tutela dei rispettivi interessi nazionali, bisogna essere vigili, affinché la strutturazione continentale non danneggi i nostri interessi. In tal senso, la messa in sindacato presso la Commissione europea dell’operazione di Fincantieri su Stx, avanzata da francesi e tedeschi, è emblematica. Sono comportamenti illuminanti ai quali bisogna guardare con grande attenzione.
È sempre opportuno stimolare e partecipare a quei progetti che hanno l’obiettivo di creare nuclei di cooperazioni rafforzate nel campo della difesa. Ma non si può dimenticare che nessuno come Berlino e Parigi ha dato dimostrazioni di privilegiare l’approccio intergovernativo a quello comunitario. Francia e Germania non hanno mai remato per un’Europa davvero comunitaria. Il principio della collaborazione resta sacrosanto, ma la sua attuazione deve sempre essere seguita con notevole accortezza.