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Il giorno della memoria e il caso Sea Watch

Nel marzo del 2017 ho avuto il piacere e l’onore di intervistare la Sen. Liliana Segre, per un progetto di ricerca sul tema della società aperta. Le sue parole mi hanno colpito e ogni volta che guardo le notizie dei telegiornali, sulla carta stampata o in internet, mi ritornano alla mente. Con forza.

In tante altre interviste, Segre, ha affermato che comprende l’esperienza drammatica di queste migliaia di persone che dalle coste dell’Africa cercano di raggiungere l’Italia. L’Europa.

Ha vissuto da clandestina, dice, senza documenti, nascosta sulle montagne, rifiutata alle frontiere perché ebrea. Erano gli anni quaranta. I nazisti rastrellavano in tutta Europa gli ebrei e li portavano nei campi di concentramento. Accadeva anche agli zingari, ai rom, agli omosessuali, ai dissidenti politici e ai comunisti. Insomma, il regime eliminava i suoi nemici. Nell’indifferenza generale. E a volte nella complicità delle persone comuni.

Segre mi disse, rispondendo a una domanda le ho fatto, ossia se vedesse dei paralleli tra ieri ed oggi, che ieri erano gli ebrei gli emarginati, i nemici ed oggi sono i migranti. Non si può essere indifferenti davanti alla sofferenza e alla disperazione di migliaia di persone che, nel loro viaggio per trovare una vita migliore, subiscono delle atroci sevizie e torture nei campi libici, che rischiano la vita in mare e spesso muoiono, dimenticati da tutti, senza un nome, senza un luogo in cui la famiglia possa piangerli.

A tal proposito, mi ha molto colpito la storia di quel quattordicenne, morto in un naufragio nel 2015, uno dei tanti, riportata alla luce dal lavoro di un gruppo di anatomopatologi. Un bambino, 14 anni, che aveva nella sua giacca, cucita con cura, la pagella. Una pagella.

La dottoressa Cattaneo ha gli occhi lucidi, mentre racconta la storia ai giornalisti. Un bambino, messo in mare, che portava con se la pagella, nella speranza, forse, di dimostrare che aveva studiato, che poteva continuare in Europa, impegnarsi, farcela. E invece ha trovato la morte in fondo al mare. E se non fosse stato per il lavoro di recupero dei corpi e delle procedure di identificazione, nessuno avrebbe mai conosciuto questa atroce storia.

Non vi si spezza il cuore, non sentite un nodo alla gola, pensando a questa tragedia? Quante storie simili ci sono state e ci saranno?

Il 27 gennaio era il giorno della memoria, e la nave see watch, con a bordo 47 esseri umani, costretti in condizioni di vita indecenti, ammassati uno sull’altro, con a disposizione un solo gabinetto, che non può essere scaricato, come afferma l’on. Stefania Prestigiacomo (Forza Italia) dopo aver fatto visita, assieme a Nicola Fratoianni (Liberi e Uguali) e Riccardo Magi (+Europa), è ancora in mezzo al mare. Nell’indifferenza della Politica e del governo italiano.

L’iniziativa dei tre deputati, trasversale a diversi schieramenti, sottolinea una cosa: ci sono questioni su cui non è possibile dividersi per schieramento politico. La dignità delle persone, il rispetto della vita umana, la solidarietà e la compassione per chi soffre, dovrebbero essere qualità scontate. Eppure, non è così. Nemmeno i minorenni sono stati fatti scendere. L’intransigenza del ministro dell’interno, Salvini, è vergognosa. Si tratta solo di cattiveria.

Come si può essere indifferenti? Come si può essere tanto cinici? Come si può essere così disumani?

Guardo al passato. Ripenso alle testimonianze che ho ascoltato tante volte sulla seconda guerra mondiale. Da mia nonna, che oggi ha 90 anni e che ricorda bene quei giorni prima della strage di Sant’Anna e quella colonna di fumo che saliva su.Dopo lo sterminio di donne, bambini e vecchi. Dai partigiani sopravvissuti che ho avuto l’onore di incontrare ed ascoltare. Dai sopravvisuti allo sterminio, tra cui Liliana Segre. Ripenso a tutto e mi dico: cosa si può fare per evitare che qualche cosa di simile si verifichi di nuovo? Che l’odio verso l’altro diventi violenza e morte?

In pochi vedono il pericolo: l’erosione dei diritti, che colpisce prima le minoranze, poi arriverà a colpire tutti. Quando si sta in silenzio davanti alle ingiustizie, quando si è indifferenti, si diventa complici. Anche Berlusconi, personaggio politico distante anni luce dal mio universo valoriale, ha sufficiente buon senso da riconoscere che il governo avrebbe dovuto far scendere da quella nave quelle 47 persone, perché il primo problema del paese, non è l’immigrazione. Anche se la Lega e Salvini da tempo ormai puntano su questa narrazione.

Non è la see watch, il nemico, ora per altro isolata dalla capitaneria di porto, per impedire che deputati della repubblica possano raggiungerla per verificare le condizioni delle persone a bordo. Davanti a tutto questo, provo molta vergogna.

Una società che si sta chiudendo in se stessa, dove crescono odio e rancore verso minoranze etniche e religiose, verso gli omosessuali, verso l’altro in generale, è un brutto segnale. Apriamo tutti gli occhi, prima che sia troppo tardi, perché la storia insegna, ma bisogna essere disposti ad apprendere per evitare gli errori del passato.

Per una riflessione, che spero inizierà, presto o tardi, chiudo con le parole del famoso sermone del pastore Martin Niemöller, con cui condannava il regime nazista e il suo operato, ma soprattutto l’indifferenza che permetteva al regime di agire indisturbato:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare


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