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Vi racconto un’altra Europa. Idee e passioni della nostra meglio gioventù

Europa

Se alziamo lo sguardo sopra il fumo dei lacrimogeni di Parigi ed oltre le parole di rancore e paura di questo tempo, troviamo gli occhi e la concretezza della nuova “maggioranza silenziosa” dei nostri giorni: i giovani. Per dirla con Simon Kuper del Financial Times, distratti dai gilet gialli (protesta nata sincera prima ma sfociata in violenza vergognosa poi) e dal chiasso del populismo vuoto, non ci rendiamo conto di fenomeni che superano lo spazio di qualche giorno ma segnano tempo e tempi.

In molti contesti globali, infatti, i nuovi veri protagonisti sono le generazioni che hanno già vissuto abbastanza da aver migliorato il mondo (talvolta inconsapevolmente) e da volerlo (consapevolmente) cambiare. 800 mila giovani in piazza a Washington nel marzo del 2018 contro il possesso di armi facili dopo la strage di Parkland; la folla per le strade di Budapest contro le limitazioni alla libertà; gli studenti sul Tamigi che chiedono che l’Inghilterra abbia il suo futuro in Europa; i movimenti verdi di Germania e gli interventi delle associazioni giovanili a Katowice in Polonia in occasione di Cop24 la conferenza mondiale sull’ambiente. Ovunque la nuova meglio gioventù è protagonista della realtà che cambia, applicandosi non solo ad avere sogni ma anche alla loro concretizzazione. Mentre tutti sono impegnati a descrivere solo disagio giovanile e problematiche, la stragrande maggioranza degli under 30 è invece impegnata su diritti, mobilità globale, ambiente, nuovi lavori.

Non si tratta di raccontare una epopea sdolcinata o di fare apologetica inutile, ma di essere onesti rispetto a quel che accade: un nuovo protagonismo di impegno civico e di volontariato generato dall’attivismo dei più giovani. Non scompaiono difficoltà e problemi, ma non sono recinti dentro cui chiudersi e lamentarsi. Permangono periferie fisiche e di disagio personali, lavorativi, di esclusione e ritardi, tutte difficoltà più che rilevanti che vanno affrontate ma che in gran parte dei casi sono motivi per generare cambiamento. Puntando al miglioramento.

In Europa in particolare, una nuova “generazione Erasmus” è davvero la nostra meglio gioventù. Oggi più di ieri. Non è più solo un pezzo generazionale legato ad una stagione – il programma nato più di 30 anni fa sinora ha coinvolto più di 9 milioni di persone (59% donne) di un intero continente, incrociando più generazioni – ma una realtà cresciuta e radicata che ha acquisito lo spirito del tempo che ha attraversato. Interpretandolo ogni volta. Tutti conosciamo una persona che ha “fatto un Erasmus” (nelle sue varie forme) e ciò ci fa comprendere quanto diffusa e penetrante sia stata l’idea di integrazione e scambio che ha generato per chi lo ha vissuto, per chi ne ha sentito parlare. Diverse generazioni che hanno rinnovato se stesse grazie a questa esperienza diretta, egualmente rinnovando ogni volta l’Europa. In tutti questi anni, ad ogni curva di difficoltà, nel dibattito continentale irrompe il punto di vista diffuso e forte della “generazione Erasmus” ed è il testimone della migliore storia collettiva che tanto racconta della nostra Unione.

Le giovani generazioni europee di oggi sono le più forti. Per certi aspetti, migliori. Italiani, tedeschi, polacchi, francesi, danesi e tutti (tutti) i Paesi dell’Europa continentale. Per due motivi: innanzitutto sono più formati e istruiti, sono quelli che viaggiano e conoscono di più, hanno più esperienze in occhi, mente e gambe di quante possono averne fatte le generazioni precedenti. Lo strumento della mobilità totale (non solo universitaria) è l’acquario naturale dove nuotano e crescono avendo occasioni di studio, lavoro, divertimento che le generazioni precedenti hanno potuto soltanto immaginare. Secondariamente si tratta dei giovani che hanno vissuto direttamente sulla pelle la furia assassina del terrorismo. Sono quelli che più di tutti pagano il prezzo di chi è contro libertà ed Europa (luogo di libertà). Lo sono proprio perché vivono, viaggiano e meglio si integrano in tutta Europa diventandone i cittadini e quindi bersagli. Per scelta, quando si è voluto colpire un luogo notoriamente frequentato solo da giovani di differenti nazioni (un esempio su tutti: il Bataclan nel 2015 in cui noi ricordiamo Valeria Solesin); per caso, quando a cadere sono stati, tra gli altri, anche i nostri Fabrizia Di Lorenzo (Berlino 2016) o Luca Russo (Barcellona 2017) e oggi Antonio Megalizzi (Strasburgo 2018) che interpretano al meglio proprio l’essere cittadini di questo tempo e d’Europa.

I giovani sono i più colpiti da chi non vuol cambiare il mondo perché sono coloro che generano cambiamento vivendo la dimensione nuova di integrazione e condivisione che altri combattono. I partiti tradizionali non suscitano interesse (sinistra sindacalizzata appare impegnata a difende posto fisso, destra radicalizzata difende società conservatrice, due realtà che tendenzialmente i giovani non conoscono o non conosceranno). Così l’impegno sociale e politico viene cercato altrove: l’Europa, per opportunità, valori e possibilità concrete, è lo spazio naturale in cui vivere e impegnarsi.

L’Erasmus è un messaggio, un sms (sia immagine che vocale) di futuro inviato 30 anni fa e oggi arrivato a tutti. Sempre nuovo appena lo si ascolta e valido oggi più che mai. È al tempo stesso un ideale (la “generazione Erasmus” è ormai un riferimento a cui ispirarsi) ed un fatto concreto (fa incontrare, integrare, crescere). In un’epoca in cui tanti fanno riferimento ai padri fondatori, oggi i nostri giovani sono i figli fondatori dell’Ue.

Rappresentano una dimensione collettiva e diffusa che ha si dei simboli (Sofia Corradi, l’83enne grazie alla cui caparbietà si deve la nascita dell’Erasmus, ne è una perché percepita ancora oggi uno spirito nuovo e che ha portato cambiamento) ma non ha totem imbattibili. Una maggioranza silenziosa orientata a migliorarsi ed al futuro, senza clamore ma con la costanza di chi forse non sa ancora che “la miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta”.


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