Ricordare Giulio Andreotti nella data nella quale avrebbe compiuto 100 anni di età è come ricordare la Dc nella sua evoluzione. Andreotti ha costituito una corrente perché non rappresentava il partito nella sua interezza, ma al tempo stesso è stato ritenuto l’uomo che ha governato per la Dc, in quasi tutti i governi che hanno segnato l’evoluzione del Paese.
La Dc ha il merito eccezionale di essere stato un grande partito, ma pur sempre di parte come è nella natura di ogni partito, e al tempo stesso di avere rappresentato gli interessi generali, di aver governato per il bene comune; e dunque Andreotti, che ha rappresentato la continuità del governo, si intesta ancora oggi questo ruolo egemone.
La Dc è stato un partito complesso, che ha sentito profondamente la laicità di Sturzo e il valore del suo popolarismo, lo spirito europeistico di De Gasperi, ma ha anche rappresentato il pragmatismo di Andreotti che sembrava estraneo al tormento di chi si incaricava di approfondire le ragioni culturali e storiche della presenza del partito dei cattolici nella società italiana, perché in lui prevaleva l’esigenza di governare, in ogni caso, anche in condizioni difficili, e con qualunque alleanza. L’onorevole Moro e soprattutto le espressioni di sinistra della Dc si domandavano ogni giorno quale funzione il partito dovesse svolgere per confermare il suo ruolo leader della società italiana, e Andreotti con spirito più pratico si sentiva rappresentante non solo della parte che gli elettori assegnavano il partito ma di tutto il Paese perché, in alternativa al Pci, non poteva non essere l’unico rappresentante. Oggi non possiamo non riconoscere che un pragmatismo esagerato ha appesantito il partito e lo ha allontanato dalla società. La Dc ha accentuato la sua crisi degli anni ‘90 perché ha ritenuto che tutte le libertà conquistate fossero forti e sicure; che la democrazia fosse al sicuro, e che il patito fosse eterno dimenticando che le libertà sono sempre diverse e per esse bisogna sempre lottare: la democrazia non è statica, ma si invera ogni giorno e deve essere conquistata ogni giorno.
I sintomi della crisi erano presenti ma venivano trascurati o sottaciuti dalla classe dirigente della Dc e degli altri partiti. L’identità della Dc risultò sbiadita e trascurando ideali e valori prevalse il personalismo. Un giudizio sereno a distanza di anni porta da un lato a riconoscere la responsabilità dei democristiani, ma al tempo stesso a consolidare, il giudizio sulla Dc per aver realizzato nel nostro Paese la composizione del vivere civile, per aver operato per una solidarietà sociale e politica, che ha portato ad un interclassismo tra tutti i ceti sociali.
Dunque complessivamente le ragioni della crisi politica coinvolgono ovviamente la classe dirigente di quel periodo e anche Andreotti che nella sua infinita ironia ripeteva che era meglio sopravvivere che tirare le cuoia. La frase è rimasta famosa perché espressiva del suo realismo pragmatico e non filosofico. Fu per questo che non gridò allo scandalo quando fu indagato per connivenza con la mafia perché consapevole che chi esercita il potere deve essere pronto a qualunque contestazione. Egli accettò da cittadino probo il processo: non si ribellò come fecero tanti altri e dimostrò in tal modo lo scrupoloso senso delle istituzioni, l’ossequio al potere giudiziario.
Vinse la battaglia del processo nonostante il Pubblico ministero Caselli che lo indagò ripeta ad ogni già sospinto che si erano accertate le sue responsabilità di connivenza con la mafia in età giovanile, ma la prescrizione dei reati lo rende sempre colpevole. Si tratta di un magistrato che voleva e vuole a tutti i costi avere ragione delle sue indagini!
È opportuno per tutte queste ragioni ricordare questa figura di statista in un momento di grande confusione politica e di rifiuto della storia e delle storie che ci hanno preceduto, perché insieme alla sua figura rivive un partito che è stato impegnato profondamente per far grande l’Italia.