La rivolta dei sindaci –non solo di centrosinistra – contro il ministro Matteo Salvini ha origine dalla procedura di iscrizione della residenza anagrafica che può indebolire obiettivamente i diritti fondamentali della persona,in quanto il sistema Sprar – il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.
A livello territoriale – fino ad ora e con la legge n.189/2002 si sono istituzionalizzate queste misure di accoglienza organizzata – gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, hanno garantito interventi di “ accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Vero è che il nostro ordinamento giuridico non attribuisce ai Sindaci il potere di operare un sindacato di costituzionalità delle leggi: disapplicare una legge che non piace equivale a violarla, con tutte le conseguenti responsabilità, ma è altrettanto evidente che i Comuni rischiano di trovarsi nelle proprie strade, in tutta Italia, persone prive di inquadramento anagrafico. Uomini e donne e bambini a cui è stata tolta la protezione umanitaria, senza la possibilità di accedere al sistema Sprar, per strada senza alcun diritto, alla mercé in molti casi giocoforza di sfruttatori e di organizzazioni criminali che ne potranno disporre a piacimento.
Già in occasione della pubblicazione del decreto, peraltro espressi da costituzionalisti riconosciuti in ambito nazionale, vi furono dubbi in merito all’applicazione del decreto sicurezza nel momento in cui le sue norme “incontrano” la Costituzione italiana. Quindi, è pur vero che il Presidente Mattarella ha firmato la legge – ma è altrettanto vero è che le Regioni possono porre alla Consulta interrogazioni confidando che i sindaci applicano le leggi e rispettano la Costituzione, anche confortati dalla chiarezza della Corte a sostegno dell’intelligenza politica, evitando il pericolo concreto di scontri sociali come conseguenza della poca comprensibilità della norma, in ordine alle procedure d’iscrizione della residenza anagrafica, che non tiene conto dei minori non accompagnati, titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e neanche degli stranieri che hanno il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il pericolo vero è il passaggio inevitabilmente di gran parte di persone all’illegalità, compromettendo ogni loro speranza e la sicurezza di tutti i cittadini. Aprire sul terreno istituzionale un percorso non di pura resistenza civile ma di chiarimento di provvedimenti che negano i fondamentali diritti costituzionali ribaditi dalla Dichiarazione universale dei diritti umani significa far emergere se c’è, un contrasto fra leggi e Costituzione affinché la Corte Costituzionale possa pronunciarsi in merito. Si faccia un incontro con il governo, al quale anche il presidente del Consiglio è disposto a partecipare insieme al ministro dell’Interno con Anci senza contrapporre storicamente leggi dello Stato e farne una strumentazione politica sia da parte della maggioranza che della minoranza. Ma altrettanto urgente e concreto è che il sistema dell’accoglienza dell’immigrazione va profondamente modificato anche in previsione di una carenza delle risorse che si potranno avere e gestire e soprattutto dei problemi irrisolti che abbiamo tuttora e dell’illegalità non controllata.
A questo proposito dobbiamo riflettere lucidamente sulla relazione della Corte dei Conti che è durissima sul tema della gestione dell’immigrazione. Nel solo 2016 sono sbarcati in Italia oltre 181mila migranti e, per la loro accoglienza lo Stato italiano ha destinato ben 1,7 miliardi. L’Unione europea, invece, ha contribuito con appena 8,1 milioni e dal Fondo asilo, migrazione ed integrazione (Fami) per 38,7 milioni. Se si considerano gli anni 2007-2013 le risorse stanziate dall’Ue per l’attuazione del programma Solid (Fei, Fer, Fr) erano state pari a 395,3 milioni. Il dato che colpisce di più è quello riguardante l’Ebf (Fondo europeo per le frontiere esterne) che aveva lo scopo di controllare i confini e che aveva avuto un finanziamento di soli 1,9 miliardi. A livello europeo, le risorse a disposizione del Fami (Fondo asilo, migrazione e integrazione) sono state pari a 3,1 miliardi, mentre all’Italia sono andati 695.507.554 euro, di cui il 50% di cofinanziamento comunitario e il resto sono fondi nazionali resi disponibili dal Ministero dell’Economia. Per i progetti del Fer (Fondo europeo rifugiati), il Ministero ha revocato il finanziamento a causa delle irregolari procedure di affidamento dei servizi di accoglienza portate avanti dagli enti locali, fissando come importo da riottenere 630.000 euro, di cui 504.000 di contributo comunitario già impegnati dagli enti e restituiti nel novembre 2016. Altri 2.018,51 euro (1.585,27 di quota comunitaria e di 126,33 euro di sola quota nazionale) sono stati restituiti perché usati per spese non ammissibili. Oltre a questo c’è da prendere in esame la stima delle mancate ricollocazioni di migranti che, al 15 ottobre 2017, ammonta a 762,5 milioni. Infatti, fino al 15 ottobre 2017 sono stati ricollocati appena 9.754 migranti su 39.600 totale e, perciò, escludendo i 54mila immigrati spettanti a Italia e Grecia, ne mancano da ricollocare ben 29.846. Il sistema dei richiedenti asilo, così com’è strutturato, presenta una serie di criticità. Anzitutto il Ministero dell’Interno è incapace di tracciare la presenza e gli spostamenti dei richiedenti asilo. Basti pensare che dal 2006 al 2014 si sono resi irreperibili ben 17.892 minori. La rete Sprar, nei primi anni di attività ha dovuto supplire alle carenze del sistema “primario” di accoglienza e i tempi di decisione per la definizione delle richieste di protezione internazionale sono ancora troppo lunghi. Come se non bastasse ai Comuni e ad altri enti pubblici sono stati riconosciuti gli importi massimi previsti (30 euro pro capite e pro die per il 2014 e il 2015 e 30/35 euro per il 2016), senza aver svolto alcun tipo di controllo, affidandosi solo alle autocertificazioni.
La Corte, inoltre, si raccomanda di “evitare di riconoscere un ‘diritto di permanenza indistinto’ a tutti coloro che sbarcano e, quindi, ammettere un’accoglienza di molti mesi (se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono inseriti anche nei percorsi di formazione professionale finalizzati all’integrazione, con oneri finanziari gravosi sul bilancio dello Stato”. L’analisi dei dati forniti da alcune prefetture sugli enti di province ha permesso di scoprire ampi disallineamenti rispetto a quelli rilevati dalla Guardia di finanza con accertamenti in loco. Se non è politica del territorio questa?