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Più meritocrazia, meno raccomandazioni. Ecco la ricetta della produttività

Di Gennaro Nelson Esposito
salute

“Mi raccomando… Ti raccomando…” Quante volte abbiamo detto o sentito questo tipo di esortazioni, dal sapore più propriamente di augurio, di invito a prestare attenzione o a far bene qualcosa. A prestare attenzione, però, dovremmo essere tutti noi, perché “a botta di raccomandazioni e spintarelle” l’intero sistema lavorativo rischia di essere compromesso, così come il patrimonio culturale ed intellettuale italiano. Con conseguenze negative non solo per la regolarità delle assunzioni, bensì, soprattutto, per la produttività e il futuro delle prossime generazioni e la perdita di giovani risorse fondamentali per lo sviluppo del Paese.

In altri termini, un soggetto che non vale o che vale meno di un altro e che viene assunto o scelto, che occupa un ruolo, una posizione in maniera non meritata andrà a danneggiare non solo chi è stato illegittimamente escluso, ma tutti noi, causando una situazione di effettivo stallo della macchina produttiva e del progresso sociale. Tuttavia la raccomandazione – fenomeno non recente, anzi, tanto antico quanto diffuso – non va aprioristicamente criticata ma “sfruttata”, utilizzata cioè correttamente a vantaggio dell’efficienza del sistema.

“Raccomandare”

Raccomandare: l’etimologia deriva da “accomandare”, ossia comandare, affidare, dare ordini, tenere legato, uno “scambio di favori tra potenti”, una sorta di voto di scambio. Il pensiero comune corre subito alla corruzione, ma si tratta di qualcosa di diverso. Anzi, la corruzione è un “accordo” con scambio danaroprestazione; con la “spintarella”, invece, Tizio raccomanda Caio già sapendo che colui che dovrà agevolare Caio lo asseconderà, perché è obbligato con Tizio per un favore già effettuato, o perché poi in altro modo questi ricambierà, aiutandolo, in futuro. In questo modo si crea un sistema di raccomandazione e non un fenomeno occasionale; una mentalità radicata, un modo di vivere che connota qualsiasi attività quotidiana e che nel nostro ordinamento raggiunge un’espansione incontrollata, cosicché se non ci si adegua si rischia di rimanere fuori dai giochi. La procedura fisiologica di selezione in ambito lavorativo cede il passo al ricorso “forzato” alla raccomandazione, anche di persone valide e capaci; può sembrare un’ovvietà, una vera e propria banalità, eppure metabol.

Le origini e uno sguardo oltre confine

L’origine del fenomeno è datata: già Platone nella sua “Repubblica” e Orazio con riferimento ai seccatores ci offrono uno spaccato di meccanismi di favoritismo e corruzione, un sistema di pratiche sociali destrutturanti che, in quanto tali, inquinano la stessa esistenza della democrazia. I meccanismi praticati ai giorni nostri non risultano molto diversi da quelli passati e sono diffusi in tutto il mondo. La raccomandazione, infatti, laddove sussista un rapporto di parentela, diviene un aspetto del più ampio concetto di “nepotismo”, inteso come tendenza, da parte di chi detiene autorità o poteri particolari, a favorire i propri familiari indipendentemente dalle loro reali abilità e competenze. Ne sono esempi il Cronyism, fenomeno presente nel Regno Unito, dove è nota la popolare espressione “And Bob’s your uncle”, che pare sia nata nel 1887 dopo la nomina da parte del Primo Ministro Conservatore Robert Cecil, detto Bob, di suo nipote come Chief Secondary in Irlanda e ancora utilizzata nel senso di “nessun problema”.

In Grecia la fitta rete di conoscenze è ritenuta uno dei fattori scatenanti della crisi e dell’implosione economica al punto che risulta difficile persino individuare il numero dei soggetti impiegati e persino gli stipendi pagati dal governo ellenico.

In Spagna la cultura delle conoscenze sottesa alle pratiche di assunzione è chiamata “Enchufismo” così come anche in Germania esiste un sistema di conoscenze che agevola l’accesso al mondo del lavoro, sebbene le persone qualificate riescano comunque a trovare adeguati sbocchi lavorativi.

In Cina il nepotismo è molto diffuso ma, al contrario, è visto in una luce positiva, come motivo legittimo per essere assunti. Negli Stati Uniti, invece, il “push” è un’anomalia di un sistema che è fisiologicamente sano: la raccomandazione, invero, conduce immediatamente all’esclusione dal mondo lavorativo. Diversa è invece la lettera di raccomandazione, molto diffusa non solo negli Stati Uniti e che rappresenta un modello virtuoso da seguire: chi scrive una lettera di referenze, di “patronage”, infatti, si assume la responsabilità di indicare una persona con tutte le conseguenze positive o negative che ne derivano, senza “spingere” affinché sia assunta.

Il cuore del problema

Occorre pertanto distinguere le conoscenze, fisiologiche e spesso virtuose e produttive, dalla pratica, perniciosa e patologica, della raccomandazione. Il discrimen è percepibile in quanto tutti questi “sistemi” hanno un denominatore comune: obliterano, vanificandolo, l’aspetto meritocratico. In Italia la raccomandazione risulta essere una pratica diffusa soprattutto per l’accesso al pubblico impiego, nonostante le finalità sottese al meccanismo di selezione imposto dalla Costituzione; anzi, si inserisce e si pone in contrasto proprio con le previsioni costituzionali. Immediata e diretta ricaduta è la c.d. ”fuga dei cervelli” o meglio la “messa in fuga dei cervelli”, perché i giovani sono costretti ad andare all’estero per poter trovare lavoro e mettere a frutto la loro preparazione.

E’ come se un’azienda, dopo aver formato i propri futuri dipendenti, investendo anche economicamente su di essi, ritenesse normale che gli stessi vadano a lavorare in altre aziende, addirittura determinandoli e quasi costringendoli a lavorare per la concorrenza. Sono oltre 25000, ad oggi, i giovani che, dopo aver intrapreso l’intero percorso di studi nel nostro paese, sono andati via dall’Italia in cerca di una carriera all’estero e, secondo le stime, saranno 5 milioni i giovani “messi in fuga” nel 2050. Ne deriva un danno annuale di 1,2 miliardi di euro, dovuto alla perdita di brevetti e altre invenzioni ed un reddito mancato pari a oltre 750 milioni di euro l’anno. Senza dimenticare che bisogna necessariamente uscire dalla bulimia normativa, ovvero l’eccesso di norme nel quale si imbrigliano, bloccandosi, i circuiti economici.

La ricetta

La causa principale della raccomandazione non è altro che il suo principale effetto: funziona! Pertanto, l’unica strada per cambiare il sistema e renderlo funzionale e produttivo è la meritocrazia. Il sistema sociale delle raccomandazioni determina una anarchia del reclutamento, una selezione naturale di tipo “parentale” che non inquina, in definitiva, soltanto il divenire culturale e sociale, ma investe sia direttamente che indirettamente anche l’assetto economico e finanziario del Paese realizzando, alla lunga, una progressiva paralisi funzionale. Il tutto a danno di chi comunque possiede delle qualità e rappresenta una potenziale risorsa per il Paese. Si presenta quindi ineludibile la necessità di un efficace, competente e costante controllo: la cecità non può appartenere a chi ha il compito di controllare il lavoro e il funzionamento di strutture private e pubbliche. Il modello da cui partire e da implementare è quello statunitense, in cui l’indicazione di una persona ha delle ricadute positive o negative, sia per chi segnala che per chi viene segnalato, in base al valore del soggetto proposto.

Nella presentazione, pratica eticamente legittima e socialmente funzionale, non si prescinde affatto dalla qualità del “presentato”, anzi questa viene testata, in modo opportuno e costante, ai fini della sua valutazione. La ricetta consiste nel valorizzare e utilizzare nei rapporti umani il parametro della segnalazione, come segnale, indizio, appunto signum, che tenga sempre realisticamente conto degli assetti sociali di riferimento, delle ineludibili interrelazioni umane e perfino dei rapporti parentali, che comunque non possono essere ignorati. Si intraprende così un percorso virtuoso, un momento di attenzione, positivo o negativo che sia. A questo punto non si deve più adempiere al comando insito in una raccomandazione – che, in tal modo, non c’è stata e sarebbe ipocrita pensare il contrario – e si realizza un meccanismo culturale che destruttura il comando del raccomandare, ne aggredisce le fondamenta e, nel contempo, mantiene in vita le relazioni sociali nei suoi connotati più puliti, sereni e positivi. Si costruisce un tessuto sociale di reale produttività attraverso l’individuazione di meccanismi di valutazione diffusi, che riguarderanno sempre e comunque anche i “non segnalati”. Trasparenza dunque, in una prospettiva di effettiva socialità.

Chi valuta – e questo sarà un’altro vantaggio derivato – dovrà non solo “attrezzarsi” per il segnalato, ma dovrà acquisire un bagaglio verificativo diffuso spendibile erga omnes. Si potrà così pervenire a una burocrazia virtuosa – non statica e in permanente stato di disagio – con nuovi stimoli, volti a valorizzare e curare al massimo il momento del reclutamento soggettivo. Ciò comporta la valorizzazione di coloro – e sono tanti – che hanno profuso il loro impegno e dedicato anni per formare un proprio bagaglio lavorativo e culturale che non può e non deve andare disperso né esportato, o meglio, messo in fuga verso all’estero. Ne va di mezzo non solo e non tanto la carriera delle nuove generazioni, ma soprattutto il destino, l’avvenire del nostro Paese – e questo al di là ed oltre ogni retorica.

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