Mentre Famiglia Cristiana sulla vicenda della chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto parla di “sgombero della vergogna”, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana Avvenire non esita a raccontare di uomini “come pacchi postali”. Per il suo direttore Marco Tarquinio, di fronte all’emergenza, il tempo si dilata e chiama alla ricerca immediata di una soluzione realistica e condivisa. Di fronte cioè alle “azioni terribili di autentici criminali alle quali si sommano inazioni colpevoli e complicità propagandistiche di pseudo-statisti e di altri politicanti dei cosiddetti Paesi ricchi e civili” che “continuano a provocare intollerabili stragi di vita e di verità”, bisogna in qualche modo darsi una linea politica, creare soluzioni, mettersi in azione, e farlo al più presto.
“Già, bisogna proprio aprire gli occhi sull’Africa: sull’Africa francofona e franco-monetaria, sull’Africa più o meno anglofona, sull’Africa della penetrazione neo-ottomana, sull’Africa ‘cinesizzata’ (che coincide ormai con tutte le altre) e sulle altre realtà di un continente così vicino e così lontano, ma comunque e sempre depredato, e che oggi più che mai è a ‘forte emigrazione forzata’ (soprattutto inter-africana)”, scrive Tarquinio rispondendo a un lettore che sul “neocolonialismo francese” dava ragione al ministro del Lavoro Luigi Di Maio, citando peraltro le inchieste pubblicate negli anni precedenti dallo stesso quotidiano cattolico sul tema del franco africano, ancorato prima al franco francese e poi all’euro, oggi ancora in vigore in quattordici ex colonie africane.
Anche se per quanto riguarda “i salti logici di certe correlazioni, come quella, infondata, tra Cfa (il franco africano) e i flussi di migranti”, il giornalista tira il freno e non lascia spazio alla campagna elettorale anticipata di alcuni settori (sempre più ampi) della maggioranza di governo. “La politica francese in Africa può essere contestata senza bisogno di forzature e link arditi… Le vittime dei trafficanti di esseri umani attraverso il Mediterraneo provengono infatti della stesse rotte sub-sahariane e dalle medesime sponde nord-africane, ma arrivano da diversi Paesi e in maggioranza da aree del mondo delle cui sofferenze la Francia (ancora detentrice di una posizione di privilegio in seno all’Onu, facendo parte del ristrettissimo ‘club del diritto di veto’) è corresponsabile come tutti i ‘grandi’, ma non ne è principale motivo e origine”.
Bisogna cioè “avere l’onestà di dire che ognuna di quelle persone è vittima e potenziale ‘condannato alla morte in mare’ non perché un Paese è più cattivo e predone di altri, ma perché consentiamo una «economia che uccide» (vita, libertà e dignità) e una «politica sottomessa» e complice di queste logiche”, è la chiosa del direttore Tarquinio centrata sulla citazione delle parole di Papa Francesco, che in questo caso acquistano una luce più che mai tangibile. Un segno di risposta, che ne consegue, lo si trova tuttavia con facilità in apertura del quotidiano, e riguarda l’appello congiunto di Cei, Tavola valdese, Chiese evangeliche e S. Egidio sull’immigrazione, lanciato nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, cattolici ed evangelici affinché “si continui a vivere uno spirito di umanità e di solidarietà nei confronti dei migranti”. Un appello in cui viene chiesto al governo di allargare “la quota dei beneficiari accolti nel nostro paese e si faccia promotore di un ‘corridoio umanitario europeo”, oltre a “garantire il soccorso in mare, che non può ridursi a una politica di respingimenti o di semplici chiusure”, si legge ancora nel documento con la firma perciò bene in vista, tra le altre, dei vescovi italiani.
Tutto ciò considerando che, all’interno della “faticosa convivenza a Palazzo Chigi”, “niente compatta Cinquestelle e Lega come il prendersela tutti insieme con qualcuno”, scrive nell’editoriale in prima il giornalista Pietro Saccò in riferimento al fatto che “come «nemico del popolo» Emmanuel Macron è perfetto”. Detiene cioè in questo particolare momento “una popolarità ai minimi storici”, e un “avversario tosto”, ovvero quello dei gilet gialli. Rispetto però alle “ultime provocazioni anti-Macron di Di Maio e Salvini“, nel mezzo di “questioni che contengono elementi di verità e su cui in Europa si potrebbe anche utilmente discutere, come ha detto l’esperto ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, nel tentativo di dare una dignità diplomatica agli attacchi dei due vicepremier”, meglio dare attenzione ad altre questioni più sostanziose, molteplici e passate troppo inosservate.
Una su tutte, la “seconda edizione di Choose France, l’evento creato da Macron per convincere le imprese straniere a portare soldi e posti di lavoro in Francia”, a cui hanno partecipato anche gli “italiani Riccardo Illy e Guido Barilla oltre a manager di aziende ad alta crescita come Chiesi Farmaceutici e Angel Group”, annota Avvenire. Oppure la pressione che l’Italia dovrebbe fare sul commissario per la concorrenza Margrethe Vestager per “evitare che il commissario bocci l’operazione Fincantieri-Stx, osteggiata da Parigi e Berlino”. Ma “il nostro ministro dello Sviluppo economico, però, sembra troppo impegnato dalla campagna elettorale per dedicare del tempo a questo tipo di attività”, mette i puntini Saccò, traendone però una conclusione impietosa. “In questo perenne conflitto di interessi tra popolarità e sagge scelte concrete, chi oggi governa l’Italia appare sempre più sbilanciato dalla parte sbagliata”.
Se poi si entra nel merito di “quel Nouveau Traité sulla cooperazione e l’integrazione franco-tedesca tenuto a battesimo ieri ad Aquisgrana da Angela Merkel ed Emmanuel Macron”, che “avrà conseguenze politiche più profonde di quanto non appaia”, come aggiunge poi sempre in prima Giorgio Ferrari, quel trattato per il quotidiano della Cei “non solo è legittimo, ma sul piano puramente concettuale è assolutamente condivisibile”. Che però, al contrario, fa anche chiedere “se questa riedizione dell’asse franco-tedesco” non rischi di finire “per irritare e mettere nell’angolo gli altri venticinque Paesi rimasti fuori dal salotto buono. A cominciare dall’Italia”. Così che ogni domanda suona tanto retorica quanto beffarda, vista la pericolosità delle possibili risposte. “A chi intestare un domani questo tragico errore? All’eterna voluttà di egemonia cui Parigi e Berlino non riescono mai a rinunciare? All’irragionevolezza di un direttorio così esclusivo nel momento di più acuta divisione all’interno dell’Unione? Alla follia di una classe dirigente sfibrata e senza più idee?”