C’è qualcosa di più del problema dei telefonini in classe nelle mie proposte di legge e nella riflessione che molti colleghi parlamentari stanno portando avanti intorno al tema degli adolescenti e nel loro rapporto con il mondo digitale (e con quello reale). E sono convinta che sia molto più importante di tanti temi su cui la politica vacuamente dibatte. Si parva licet, vorrei usare le parole di Papa Francesco – un comunicatore straordinario: ha definito la Madonna, la prima influencer della storia… – alla Veglia di sabato durante la Giornata mondiale della Gioventù a Panama: “Lo sappiamo bene, non basta stare tutto il giorno connessi per sentirsi riconosciuti e amati. Sentirsi considerato e invitato a qualcosa è più grande che stare ‘nella rete’. Significa trovare spazi in cui con le vostre mani, con il vostro cuore e con la vostra testa potete sentirvi parte di una comunità più grande che ha bisogno di voi e di cui anche voi, giovani, avete bisogno“.
Ecco: vale per chi è religioso come per chi è ateo. Dobbiamo schiodare i nostri ragazzi da quei tablet e fare riassaporare loro la bellezza delle sbucciature sulle ginocchia, del contatto fisico e dell’interazione umana, delle partite a pallone e delle corse in bicicletta. Mi sbaglierò ma il fatto che, grazie a qualche videogame (ma si chiamano ancora così?) di tendenza, fra i prodotti più venduti dello scorso anno nei negozi di elettronica ci siano state le cuffie con microfono, non mi pare un bel segnale. C’è dunque un enorme lavoro da fare perché tutto si tiene: questi ragazzi un giorno saranno cittadini nel senso più pieno del termine e decideranno le sorti del loro comune, del loro Paese, dell’Europa.
Non c’è quindi solo il problema di evitare usi impropri, distorti e talvolta criminali della rete, c’è anche il tema di come guidarli alla acquisizione di un ruolo attivo nella società, nel mondo reale, perché possano con “le mani, il cuore, la testa” essere parte di una comunità, il cui senso abbiamo cominciato a smarrirlo per primi noi adulti. Per questo nelle proposte di legge che ho presentato si parla – oltre che di divieto di telefonini in classe (fatto salvo naturalmente per le attività didattiche programmate che ne richiedano l’utilizzo) – di educazione alla cittadinanza attiva (che non è semplicemente una forma evoluta di educazione civica), di uso consapevole degli strumenti tecnologici e telematici, di diritti e doveri dell’adolescente digitale.
Diritti anche sì, non solo doveri. Perché dobbiamo dare ai giovani la possibilità di crescere in un mondo reale migliore di quello digitale e sta a noi adulti, alla scuola, alle famiglie, a tutte le istituzioni formative, fornire loro le coordinate per comprendere la realtà (non quella delle fake news e delle mode contingenti) e affacciarsi al mondo con un bagaglio di conoscenze adeguato alle complessità che viviamo. Abbiamo una password che sono i principi fondamentali e i diritti e doveri della nostra Carta costituzionale e abbiamo lo straordinario patrimonio culturale di questo Paese (che è arte, letteratura, storia, filosofia). Manchiamo solo noi (che dovremmo essere i primi educatori dei nostri ragazzi), un pallone e una bici.