La lettera al Corriere della Sera ha messo i 5 Stelle davanti a un bivio: essere coerenti o sopravvivere.
Il cambio di rotta di Matteo Salvini sulla richiesta di autorizzazione a procedere relativa alla vicenda Diciotti ha spiazzato gli alleati del Movimento. Dalla sfrontatezza del “processatemi pure” al dietrofront enunciato sulle colonne del Corriere, é stato un turbinio di dichiarazioni, smentite e ripensamenti.
In principio, il Movimento 5 Stelle si era espresso a favore dell’autorizzazione, appoggiando la linea iniziale del Ministro dell’Interno e restando, in tal modo, coerente con i propri principi a lungo sbandierati. Basti ricordare un lungo post di Luigi Di Maio del 2014 in cui auspicava l’abolizione dell’immunità parlamentare ex. Art. 68 della Costituzione, fin troppo abusato secondo il vice-prmeier.
Successivamente alla pubblicazione della lettera di Salvini, sono iniziati i dubbi, le paure, la disperata ricerca di una soluzione che riesca a salvare sia l’alleato che la faccia. Da qui il cambio di passo nella strategia comunicativa: prima il Ministro Toninelli che getta acqua sul fuoco riguardo la responsabilità della chiusura dei porti, poi Alessandro Di Battista, nel salotto di Bruno Vespa, “suggerisce” al premier Conte di assumersi la reponsabilità collegiale dell’azione di governo. Cosa che, come per magia, si realizza nell’immediato, con un annuncio in tal senso del Presidente del Consiglio da Cipro, dove é impegnato nella Conferenza dei Paesi Europei che affacciano sul Mediterraneo.
Sui social e tra i commentatori politici si é subito evidenziata la paura di Matteo Salvini di affrontare la Giunta per le Autorizzazioni del Senato e l’eventuale processo. Certo, la situazione é estremamente delicata e complessa.
Ma se il cambio di idea fosse, invece, una strategia del leader leghista per stanare gli alleati? Per picconarli e cuocerli con il dissenso interno? Per, come si dice a Roma, “portarli a dama”?
Se questa ipotesi fosse confermata, o almeno valida, saremmo di fronte all’ennesimo capolavoro strategico di Salvini, complice anche la scarsa esperienza politica e affinità con certe sottigliezze che caratterizzano i grillini (per usare un eufemismo).
A questo punto, se il Movimento 5 stelle voterà comunque a favore dell’autorizzazione a procedere, il rischio che la Lega stacchi la spina o apra una crisi di governo é altissimo. E chi ha paura di mollare la poltrona lo sa benissimo. Si resterà coerenti o si penserà a sopravvivere?
Se invece si opterà per il no, ci sarà da aspettarsi una tempesta in termini di dissenso della base e sul piano mediatico. Non sarebbe la prima volta che un punto cardine della filosofia grillina viene sacrificato sull’altare del potere. A un passo dalle elezioni europee, però, avrebbe un peso nettamente maggiore.
Sempre se fosse vera questa ipotesi, chi ne uscirebbe come vincitore assoluto é sempre lui, Matteo Salvini. Una strategia win-win, una teoria dei giochi tutta a suo favore. Delle due l’una: se processato, l’abile macchina della comunicazione leghista non avrà difficoltà a dipingerlo come un martire del sistema, con un elevatissimo ritorno elettorale; se la Giunta esprimerà un voto negativo, questo assumerà una valenza significativa per cui il Senato, nelle dovute proporzioni, avallerebbe la politica del Ministro dell’Interno in materia di immigrazione.
Da qui nasce la spasmodica caccia a una via d’uscita per i grillini. Cosa fare? Basterà assumersi una reponsabilità collegiale per uscirne puliti e con l’alleato al proprio fianco?
Ai post(eri) l’ardua sentenza.