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Pillole per una sanità pubblica sostenibile

Di Walter Ricciardi

Ogni tempesta è sempre preceduta da segnali deboli, spesso impercettibili. È compito degli esperti riuscire a individuarli con anticipo e capirli, soprattutto quando gli stessi possono indicarci l’arrivo di una tempesta perfetta, cioè di una di quelle situazioni in cui una serie di elementi si influenzano e si aggravano a vicenda, generando condizioni meteo estreme e devastanti. Nel caso della meteorologia esistono teorie e strumenti che permettono con una certa attendibilità di capire quanto grave possa essere una tempesta, in modo da fornire le giuste informazioni a chi voglia mettersi in viaggio. Grazie a questi strumenti gli avvisi emanati riescono spesso a ridurre i danni e a salvare vite umane. Purtroppo, al di fuori dell’ambiente meteorologico, un tale processo è molto più complesso in quanto, spesso, mancano strumenti che rilevano i segnali e non sempre sono disponibili modelli interpretativi che permettono di collegare tra loro i vari elementi per capire se stiamo andando incontro a una tempesta.

Eppure, in vari ambienti, dal sociale all’economico, dal politico al sanitario, negli ultimi anni si è spesso fatto ricorso (anche se a volte in modo improprio) al termine di tempesta perfetta, a indicare l’esistenza di situazioni di crisi profonda che possono avere importanti ripercussioni sulla società, innescando cambiamenti e rivoluzioni i cui effetti finali (positivi e/o negativi) sono sconosciuti. Situazioni di inquietudine, di cambiamenti in atto, di insofferenza rispetto alle cose attuali che ci circondano, di aumentata insicurezza, sono tutti segnali ed elementi che, considerati singolarmente, potrebbero non essere ritenuti in grado di generare disordine e caos. Eppure, gli stessi segnali e fenomeni, componendosi tra di loro, se non adeguatamente valutati, potrebbero rapidamente portare verso condizioni estreme, che diventano poi difficili da gestire. In questi casi, le difficoltà nascono dal fatto che è illusorio immaginare di uscire dalla tempesta pensando di sistemare una delle possibili dimensioni che l’ha generata, senza sistemare anche le altre. L’esempio più eclatante e recente è quello dell’attuale crisi economica a livello internazionale, in cui la tempesta perfetta che si è scatenata è allo stesso tempo finanziaria, economica, sociale e politica: situazioni critiche in evoluzione su differenti quadranti sono confluite in un unico scenario, scatenando effetti catastrofici sul sistema economico internazionale. In questo caso, risolvere uno dei problemi tralasciando gli altri non rappresenta la soluzione migliore. La crisi ha posto notevoli sfide per i sistemi sanitari di tutti i Paesi più avanzati, in particolare per quelli europei, in cui i sistemi di welfare sono molto generosi. In un contesto in cui, da un lato disoccupazione e povertà faranno aumentare la domanda di servizi sanitari e dall’altro i bilanci pubblici continuano a essere limitati in termini di risorse disponibili, gli effetti della crisi sulla salute rischieranno di diventare più evidenti col passare del tempo.

Per vincere questa sfida è necessario cambiare rotta su una serie di aspetti che hanno caratterizzato la politica sanitaria italiana dal 2001 fino a oggi. In primo luogo occorre evitare che il Sistema sanitario nazionale sia l’espressione, a volte schizofrenica, delle volontà di 21 Regioni e Province autonome che, in nome della riforma federalista, interpretano il dettato costituzionale come la possibilità di operare senza vincoli, salvo poi avere un salvatore di ultima istanza nello Stato. A scanso di equivoci, vale la pena sottolineare che auspicare un cambiamento in questa direzione non vuole certo significare voler tornare indietro al dirigismo centralista precedente agli anni 2000. I vantaggi di una gestione locale più vicina al paziente sono a tutti noti e, quindi, vanno preservati. Al tempo stesso occorre però rivalutare il ruolo di cooperazione e di scambio di esperienze tra Regioni e tra centro e Regioni che in questi anni è venuto a mancare per vari motivi. In assenza di tali condizioni, in futuro ogni situazione di difficoltà sarà sempre un’emergenza, con il rischio sempre maggiore di rendere il sistema meno sostenibile e la salute dei cittadini più precaria.

La sfida più importante che oggi si possa raccogliere è riuscire a vedere questa crisi economica e finanziaria come un’opportunità per introdurre riforme del sistema sanitario e, più in generale, del sistema di sicurezza sociale. Occorre cambiare in modo strutturale la sanità in Italia, cercando di introdurre politiche efficaci per prevenire le malattie, rafforzare l’accesso a un’assistenza primaria di qualità e migliorare il coordinamento delle cure, soprattutto per le persone con patologie croniche. La nuova rotta dovrà quindi ambire a spostare risorse economiche e umane dalla cura delle malattie alla prevenzione. Questo imporrà di dover “re-ingegnerizzare” l’intero Ssn, formando una nuova classe di professionisti della salute preventiva e trasformare, mettendole in rete, le strutture già esistenti sul territorio (ad esempio strutture sanitarie, scuole alberghiere, scuole primarie e secondarie, palestre pubbliche) per educare attivamente i cittadini alla tutela della propria salute. Come a scuola, si dovrebbe insegnare ai cittadini a conoscere gli alimenti, a cucinare e alimentarsi in maniera sana ed equilibrata, a fare attività fisica in maniera corretta e regolare, e a evitare l’esposizione a sostanze nocive per la salute.

Inoltre, potrebbe essere auspicabile introdurre sistemi di incentivi (come l’annullamento del ticket sanitario o una sorta di schema bonus/malus) per i cittadini che mettono in pratica le strategie preventive (riducendo, ad esempio, la circonferenza vita e i fattori di rischio cardiovascolari e tumorali), favorendo in tal modo comportamenti virtuosi. Crediamo che questa strategia sia realizzabile e sia vincente.

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