Introduzione al libro di Antonello Di Mario “L’Industria che salva il Paese” (Tullio Pironti Editore) scritta dal cronista economico che cura la rubrica del “Diario sindacale” sul quotidiano diretto da Luciano Fontana
Il 2017 e il 2018 non sono stati anni qualunque. Ma quelli che hanno segnato la fine della Seconda e la nascita della Terza Repubblica. Qualunque cosa ciò significhi (un giorno, si spera, lo spiegheranno gli storici), “il voto del 4 marzo”, come scrive Antonello Di Mario, “ha segnato una netta linea di demarcazione col sistema politico precedente”. Ripercorrere questi due anni nel diario di Antonello è un’operazione salutare per molti motivi. Uno su tutti: ci si disintossica dalla propaganda politica che ci bombarda senza sosta in questa campagna elettorale permanente in cui siamo entrati da non si sa più quanto tempo. E che, soprattutto, non riusciamo a capire se avrà mai fine. Leggere queste pagine significa restare ancorati alla realtà di un racconto fatto dal giornalista, ma che è anche sindacalista, che ha partecipato a tutti i principali tavoli di trattativa industriale con le controparti datoriali e col governo, i vecchi e il nuovo. E che è anche un fine intellettuale riformista. Cioè mai animato dal pregiudizio, ma sempre curioso di capire e spiegare quello che vede non solo con gli occhiali del cronista, ma alla luce di un bagaglio culturale, di una voglia di studiare mai venuta meno e di una lunga esperienza. Qualità che nessuno sembra più apprezzare in questa epoca dei social.
In questo racconto troveremo le grandi vertenze industriali, a partire dall’Ilva, emblematica delle contraddizioni tra sviluppo e ambiente, tra lavoro e salute, tra capitalismo e populismo. Ma leggeremo anche delle mille fatiche della contrattazione nelle categorie chiave dei metalmeccanici e dei chimici, del tentativo dei sindacati e della Confindustria di rilanciarsi come attori delle 14 relazioni industriali con il Patto della fabbrica, del dibattito – certamente ancora troppo timido (e qui Antonello avrebbe fatto bene a dirlo) – interno ai sindacati, in particolare alla Uil, per riformare le organizzazioni dei lavoratori. In questo percorso mi ha colpito il fatto che Antonello concentri il suo racconto sulle posizioni dei singoli attori della scena sulle misure concrete: gli esuberi da evitare; la formazione da promuovere; i meccanismi per rilanciare la produttività; come rafforzare gli investimenti pubblici e privati; la prospettiva di una nuova unità sindacale. Una trama di fatti e di tentativi che accadono nel confronto fra le parti sociali (vertenze che si risolvono, contratti che si rinnovano, categorie sindacali che si riorganizzano) senza che nulla di tutto ciò sia scalfito dal frastuono di toni violenti, parole esasperate, slogan vuoti che sembra muovere la fase politica che stiamo vivendo.
Come a dire che è la fatica quotidiana di tanti delegati e dirigenti sindacali nei luoghi di lavoro e ai tavoli di trattativa che conta. È da questa che possono venire le risposte alla paura e all’incertezza della società liquida di Bauman, richiamata da Antonello. “C’è tanto bisogno di sindacato, di politica industriale, di azioni di tutela sociale”, spiega l’autore sintetizzando quanto emerso in una delle tante riunioni sindacali cui ha assistito. E quello che appare chiaro, leggendo queste pagine, è che questo bisogno non può certo essere soddisfatto da un tweet o da un video su Facebook, ma richiede, come è sempre stato, l’impegno dei militanti e dei dirigenti. Dall’ultimo dei delegati fino ai vertici. E sempre con un atteggiamento riformista, cioè non ideologico e pronto al compromesso, se questo significa portare a casa con un contratto o un accordo un miglioramento per i lavoratori e per il Paese. E allora non è casuale che ci sia un personaggio che emerge su tutti in questo libro: Aldo Moro. Non un sindacalista, ma il leader della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Quelle che Di Mario dedica allo statista sono le pagine più belle. Cariche di nostalgia per un tempo che non tornerà. Quello della politica come missione per l’elevazione 15 materiale e umana del prossimo. Obiettivo da ricercare nel dialogo tra tutte le forze politiche perché, al di là del pensarla diversamente, tutti dovrebbero operare per il bene comune.
Con questo racconto nel racconto della figura politica e umana di Aldo Moro, Antonello rivela il suo pensiero, il suo sogno. Nel suo orizzonte c’è ancora l’Europa unita, relazioni industriali partecipative, un sindacato che si rinnovi guardando all’unità nella diversità, una politica che concili gli ideali con la realtà. Eppure dalla sua penna non escono mai toni ostili, critiche cattive.
È come se volesse far parlare solo i fatti. Come, per esempio su Ilva, dove, al di là dell’intransigenza dei sindacati nel perseguire la cancellazione degli esuberi, l’accordo appare anche frutto dell’ostinazione del ministro Di Maio di ottenere miglioramenti rispetto alle offerte precedenti di ArcelorMittal. Di Mario ci dice, infine, una cosa che, purtroppo, ancora non è chiara alla maggioranza degli italiani. Che il futuro dell’Italia non può prescindere dalla cura e dallo sviluppo del suo sistema imprenditoriale, vera ricchezza del Paese. Che però è in mezzo al guado. Senza una crescita dimensionale e senza un forte investimento tecnologico rischia il declino.
Un richiamo agli imprenditori perché guardino avanti e al governo affinché promuova gli investimenti per l’ammodernamento delle infrastrutture materiali e immateriali del Paese. Perché, nonostante tutto, Antonello resta ottimista. Fiducioso nel futuro dell’Italia e dei nostri figli.