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Trump, Macron, M5S e Brexit, “il momento della verità” di Pompeo

“Viviamo in tempi interessanti: negli anni appena trascorsi, in tutto il mondo, gli elettori hanno cambiato i politici e le alleanze politiche. Qualche esempio: Brexit, l’elezione del presidente Macron in Francia, l’ascesa del Movimento 5 stelle in Italia, il ritorno di Mahatir in Malaysia e, ovviamente, l’elezione di Donald Trump“, tutto sullo stesso piano per il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che è intervenuto in videoconferenza a Davos, davanti al più cristallino dei distillati dell’élite globale – la riunione organizzata annualmente dal World Economic Forum, tecnicamente agli antipodi dal sentimento che muove l’attuale Casa Bianca.

“Dall’Ohio a Rio de Janeiro a Roma, la gente si fa domande che prima non si faceva o che, per lungo tempo, non sono state prese seriamente in considerazione: la globalizzazione è davvero buona? I nostri politici ci stanno proteggendo dal terrorismo? La vera domanda é questa: questo modello disgregante lavora per il bene o no? Alcuni sostengono che questo sia uno sviluppo positivo. Noi apprezziamo questo momento di verità”. Il segretario, come già accadute diverse altre volte, diffonde la linea politica che si muove dietro alla rivoluzionaria presidenza Trump.

Ancora, su un altro punto centrale: “Le nazioni sono importanti e nessun organismo internazionale può rappresentare le singole persone di un Paese meglio di quanto possano fare i leader di quel Paese. I confini forti sono la chiave di Paesi forti e le alleanze forti sono la chiave per mantenere la sicurezza”. È una frase manifesto sul ritorno al concetto di nazionale; lo scontro con le strutture multilaterali globali; il movimento populista worldwide; l’internazionale del sovranismo: un ossimoro che trova sintesi pratica nella realtà.

Jair Bolsonaro, il Movimento 5 Stelle e pure Emmanuel Macron, esempi che il capo della diplomazia americana usa per spiegare come mai lui sia lì, davanti a quello che è considerato una sorta di nemico – i globalist, come li chiama l’ideologo Steve Bannon, filosofo del partito degli anti-Davos – dal suo pensiero politico, secondo le visioni che rappresenta, e dalla gran parte dei suoi elettori e di tutti quei movimenti che nel trumpismo (declinazione del conservatorismo americano a tratti piuttosto distante dal Partito Repubblicano) trovano la sponda più solida.

Macron, inserito nel gruppo (ne sarà felice il francese? Ndr), ottiene una sorta di riqualificazione. Il capo dell’Eliseo aveva già cercato di evidenziare le contiguità tra il pensiero che ha prodotto il suo movimento vittorioso, En Marche!, e quello che ha portato gli americani a scegliere Trump. Sulla base di quelle, aveva provato inizialmente a costruire il suo rapporto con la Casa Bianca: “Siamo due Maverick”, diceva alla Fox, la più trumpiana delle reti televisive, ai tempi in cui voleva spiegare a Trump che i due ribelli avevano molto più in comune di quanto si potesse credere.

Era una linea strategica, Washington è un alleato di Parigi, e la Francia doveva trovare un modo per dialogare con Trump. Poi la bromanche s’è rotta, al punto che l’americano è arrivato a incitare le proteste dei Gilet Jaunes anti-macroniani. E in questo le parole di Pompeo suonano ancora più interessanti, arrivando oggi, nel giorno in cui la Francia e la Germania firmano il Trattato di Aquisgrana (remake di quello dell’Eliseo firmato da De Gaulle e Adenauer a Parigi nel 1963), nato per aumentare la reciproca integrazione. Un bilaterale un po’ lontano dallo spirito dell’Unione, ma che nasce anche per dare impulso all’unità europea in questa fase in cui i rischi di rafforzamento dei partiti populisti ed euroscettici è enorme, spiegano Berlino e Parigi.

Trump può guardare a quel rafforzamento come un’occasione per spingere il pensiero nazionale su quello multilaterale europeo, sul faccia a faccia e sul bilateralismo, anche se non apprezza l’allineamento franco-tedesco. Teme un potenziamento reciproco che non è nell’interesse nazionale americano. E anche per questo, forse, Pompeo ricorda maliziosamente che la spinta che ha portato Macron all’Eliseo è diversa da quella che ha prodotto l’ennesima coalizione a sostegno di Angela Merkel.

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