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Vi spiego le preoccupazioni dell’industria per il bilancio della Difesa

difesa

Gli annunciati tagli alla Difesa confluiti nella Legge di bilancio preoccupano l’industria e rischiano di porre l’Italia in condizioni di svantaggio nella partita, già aperta, per la Difesa europea. Tutti i timori del comparto sono stati illustrati alla commissione Difesa di Montecitorio da Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, la federazione che riunisce le aziende italiane dell’aerospazio, difesa e sicurezza e che rappresenta (dati al 2017) un fatturato di oltre 16 miliardi di euro e circa 60mila addetti. L’audizione rientra nell’indagine conoscitiva che la commissione presieduta da Gianluca Rizzo ha lanciato lo scorso novembre, relativa “alla pianificazione dei sistemi di difesa e alle prospettive della ricerca tecnologica, della produzione e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa”.

I TAGLI

“Saranno circa 580 milioni per la parte Difesa e circa 180 milioni per quella relativa al ministero dello Sviluppo economico” le riduzioni di bilancio figlie della Legge di bilancio, ha detto Festucci. Riduzioni che si traducono “inevitabilmente in programmi tagliati”, e dunque nella messa in condizioni per il comparto industriale “di non poter rispondere alle esigenze che le Forze armate di pongono”.

LA PARTITA EUROPEA

Tutto questo assume un contorno a tinte europee se si considerano gli sforzi di Bruxelles per la Difesa comune. Già avviati l’Azione preparatoria per la ricerca (Padr) e il Programma europeo di sviluppo dell’industria (Edidp, con 500 milioni nel biennio 2019-2020), la partita più cospicua si gioca sul nascente Fondo europeo per la Difesa (Edf). La proposta della Commissione parla di 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. A tutto questo si aggiunge la Cooperazione strutturata permanente (Pesco), che punta a rafforzare la cooperazione su una grande quantità di segmenti. Per poter partecipare a tutto ciò, ha notato Festucci, “ci vogliono risorse”. Difatti, “non sarà possibile aderire senza fondi da impiegare, e se non parteciperemo ai programmi non saremo in grado di sedere ai tavoli in cui si discuteranno le grandi strategie”. Si tratta di “un problema serio”, che riguarda il posizionamento strategico del Paese ma anche gli aspetti di caratteri occupazione.

UN SETTORE STRATEGICO

“Abbiamo perso la chimica, l’elettronica e la siderurgia – ha ricordato Festucci – l’industria della difesa resta l’unico grande settore in grado di esprimere altissima tecnologia”. Un settore tra l’altro capace “di generare un ritorno di almeno 2,5 euro per ogni euro investito”. Un settore “che impegna un’occupazione di altissimo livello e qualità: sono tutti ingegneri e tecnici”. D’altra parte, il comparto è caratterizzato da un altro numero di piccole e medie imprese, e proprio queste – ha notato Festucci – risentiranno di più nel caso di un ridimensionamento del settore. “Non avere le risorse necessarie significherà decimare la supply chain, levando flessibilità alle grandi imprese e danneggiando l’intero comparto”.

LA QUESTIONE DELLE ESIGENZE

Poi, ha notato ancora il segretario generale dell’Aiad, “c’è il problema delle esigenze delle Forze armata”. A tal proposito, “voglio citare un programma su tutti, il Camm-Er: nel 2021 tutti i missili per la difesa terra-aria (gli attuali Aspide) saranno fuori servizio; senza questo programma (privo di copertura finanziaria già secondo il Documento programmatico pluriennale della Difesa, ndr) saremo senza difesa area”. Si tratta di “un problema del Paese, non dell’industria”.

UN’IMPOSTAZIONE CULTURALE

Eppure, il primo passo da compiere sembra di carattere “culturale”. Occorre “guardare alla Difesa con un occhio che non sia ideologico”, evitando l’impostazione secondo cui “quando non si sa da dove prendere i soldi si taglia la Difesa”. L’atteggiamento – ha chiosato Festucci – è “pericoloso e sbagliato, sia per un comparto che è strategico per il Paese, sia per il ruolo che l’Italia vuole giocare in Europa”. Il rischio, ha detto, “è diventare la Cenerentola del Vecchio continente”.

MAGGIOR DIALOGO TRA PUBBLICO E PRIVATO

Per evitarlo, si potrebbe ripartire da “quello che abbiamo fatto in Australia per la maxi-gara per le fregate”. Nonostante la sconfitta della proposta italiana, a cui è stata preferita quella guidata dall’inglese Bae Systems (a detta di molti, per ragioni di carattere meramente politico), il nostro Paese si era presentato in modo compatto e coordinato. È il cosiddetto “fare sistema”, invocato a più riprese tanto dalla politica quanto dall’industria. L’idea, ha spiegato Festucci, è avere “un punto dove si ragiona insieme e si dialoga; gli errori si fanno per non conoscenza, non per malafede”. Per ora, l’ipotesi più accreditata è proprio quella di una Cabina di Regia in seno a palazzo Chigi, eventualità su cui è a lavoro il dicastero guidato da Elisabetta Trenta.

IL CASO FINCANTIERI-STX

Nel corso dell’audizione, Festucci è intervenuto anche sul nuovo capitolo del dossier Fincantieri-Stx. Ieri, su richiesta di Francia e Germania, la Commissione europea ha deciso di esaminare alla luce del regolamento sulle concentrazioni la proposta di acquisizione dei Chantiers de l’Atlantique da parte dell’azienda italiana. Una decisione che per Festucci è “singolare”. “In pochi si ricordano che, quando Fincantieri decise di acquistarla, Stx era posseduta dai coreani, e non da un’azienda europea”. Poi è arrivata la decisione di Parigi per la nazionalizzazione, fino all’accordo del settembre 2017 con cui si prevedeva il riscatto del 50% da parte Fincantieri, con l’aggiunta del prestito di un ulteriore 1% conferito dallo Stato francese. Con la nuova puntata, sembra chiaro un punto relativo alle questioni industriali, ha detto Festucci concludendo: “Francesi e tedeschi ci fanno la guerra”.

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