Ci siamo. È un cinguettio dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (Wto) a ricordarci che dal 1 febbraio entrerà in vigore l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Giappone: scompariranno progressivamente un miliardo di dazi, un segnale importante per i mercati vista la fase di rallentamento che sta vivendo l’economia mondiale. Ne parliamo, in questa prima intervista pubblica, con Roberto Luongo, neo direttore generale dell’Istituto per il Commercio Estero (carica che aveva già ricoperto dal 2012 al 2016) con un pedigree di tutto rispetto visto che è stato al timone degli Uffici Ice di Kuwait City, Praga, New York e Istanbul.
Ci sono voluti quasi 10 anni di negoziazione ma tra qualche ora l’accordo Ue Giappone diventa operativo. Cosa vuol dire per il nostro made in Italy?
Nascerà la più grande area di libero scambio al mondo che vede come protagonisti l’Unione europea e il Giappone, un mercato di oltre 600 milioni di persone che vale un terzo del Pil mondiale. Voglio ricordare che nel 2018 l’Interscambio tra Italia e Giappone ha superato i 14 miliardi di euro l’attivo commerciale dell’Italia ha superato i 5,6 miliardi di euro. Questi dati, molto favorevoli per noi, danno l’idea delle potenzialità dell’accordo: sta a noi raccoglierne i frutti investendo nell’internazionalizzazione e puntando sul Giappone.
Si possono fare delle stime di crescita e quali settori ne beneficeranno di più?
Ovviamente è ancora troppo presto per poter dare dei numeri. Molto importante il calo dei dazi, progressivo, che toccherà tanti segmenti merceologici: prodotti in pelle, calzature, pelletterie, formaggi e tanti altri. I prodotti farmaceutici, le apparecchiature medicali, le automobili, i prodotti chimici, quelli in plastica, i cosmetici, l’oreficeria beneficeranno dell’accordo. Sono tutti segmenti che rappresentano asset fondamentali del made in Italy e che, a fianco della notevole apertura per i servizi inserita nell’accordo, possono fare la differenza nello sviluppo della quota export del nostro paese. Non bisogna poi dimenticare che l’aumento delle relazioni commerciali tra l’Europa e il Giappone favorirà accordi di collaborazione, investimenti e M&A tra aziende europee e giapponesi al di fuori del Giappone (in Europa, in Africa, in Asia soprattutto).
L’agrifood è il comparto che si è diviso sull’accordo. Si teme un’escalation di prodotti giapponesi…
La Commissione Ue prevede un aumento del 180% per il settore agricolo a regime (quando tutte le misure saranno applicate, in particolare quelle che prevedono un phase-out di vari anni), dove l’Italia può giocare un ruolo importantissimo. Grandi opportunità ci sono per i formaggi, il vino e altre bevande alcoliche, la carne (di maiale e vaccina), pasta, biscotti, preparati e salse di pomodori e inoltre 44 prodotti italiani a indicazione geografica verranno protetti e tutelati.
E l’Ice cosa fa per far cogliere queste opportunità alle pmi?
Stiamo elaborando specifici piani promozionali per tutti i comparti che beneficeranno dell’accordo. Si svolgeranno nel corso dei prossimi due anni, approfittando anche delle Olimpiadi di Tokyo del 2020, quando sono previsti in Giappone circa 40 milioni di turisti, soprattutto asiatici (e in particolare cinesi).
Anche per il comparto automotive qualcuno ha storto il naso, ci sono misure di salvaguardia ad una possibile invasione di macchine giapponesi?
Per gli autoveicoli e i motocicli, nonché parti e componenti degli stessi, sono previste riduzione dei dazi che scenderanno a zero dopo 8 anni. Durante questo periodo e al termine dello stesso l’Unione europea monitorerà la situazione e interverrà nel caso in cui si verifichino improvvise e rilevanti variazioni. Non dimentichiamo, poi, che tre dei più grandi produttori giapponesi hanno stabilimenti di produzione nel Regno Unito. Inoltre un cambio di paradigma è in corso per il settore autoveicoli: il passaggio all’elettrico, che vede molto impegnata l’industria europea, che per il momento è avvantaggiata rispetto ai costruttori giapponesi.
Direttore grandi prospettive quindi, ma che anno sarà per il made in Italy?
Ricco di sfide ed opportunità. Nelle analisi che abbiamo diffuso sia nella presentazione del Rapporto Ice/Prometeia, che nelle analisi condivise con gli attori della cabina di regia per l’internazionalizzazione, abbiamo evidenziato come la domanda di importazione globale di manufatti a prezzi costanti, rimane positiva pur rallentando dal 4,5% al 4,1% per poi prevedere una nuova ripresa nel 2020. Si tratta di un soft landing che scongiura le previsioni più pessimiste di alcuni osservatori nel corso dell’anno passato: è di fatto una congiuntura favorevole alle esportazioni, seppur in rallentamento, che soprattutto presenta andamenti molto eterogenei. Ci sono quindi opportunità diffuse per il made in Italy, per la tecnologia, l’agroalimentare, la moda e l’arredo. Si tratta di cogliere con attenzione le opportunità ed essere all’altezza di sfide internazionali che, come nel caso del digitale e dell’e-commerce, fanno la differenza per le nostre aziende.