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Cosa hanno in comune (e cosa no) Salvini, Di Maio e i gilet gialli

gilet gialli

Non solo un invito a non mollare, ma anche una mano tesa per portare avanti la protesta con gli strumenti pacifici della democrazia diretta. È questo il contenuto della lettera che il vice premier Luigi Di Maio ha indirizzato ai gilet gialli che in Francia protestano contro il governo di Macron arrivando perfino a chiedere le dimissioni. Su questo tema le posizioni nella maggioranza non divergono: “Sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo ma assoluta, ferma e totale condanna di ogni episodio di violenza che non serve a nessuno”, ha detto oggi il leader della Lega, Matteo Salvini.

“Gilet gialli, non mollate! Dall’Italia stiamo seguendo la vostra battaglia dal giorno in cui siete comparsi per la prima volta colorando di giallo le strade di Parigi e di altre città francesi. Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza per farvi sentire”, ha scritto Di Maio.
Poi dalle parole ai fatti: “Il MoVimento 5 Stelle è pronto a darvi il sostegno di cui avete bisogno. Come voi, anche noi, condanniamo con forza chi ha causato violenze durante le manifestazioni, ma sappiamo bene che il vostro movimento è pacifico. Possiamo mettere a vostra disposizione alcune funzioni del nostro sistema operativo per la democrazia diretta, Rousseau, per esempio call to action per organizzare gli eventi sul territorio o il sistema di voto per definire il programma elettorale e scegliere i candidati da presentare alle elezioni. È un sistema pensato per un movimento orizzontale e spontaneo come il vostro e saremmo felici se voleste utilizzarlo”.

Per Di Maio il governo di Macron “non si sta rivelando all’altezza delle aspettative e alcune politiche portate avanti sono addirittura dannose non solo per i cittadini francesi, ma anche per l’Europa. Così come altri governi europei, quello francese in questo momento pensa in particolar modo a tutelare gli interessi delle èlite, di chi ha vissuto di privilegi, ma non più del popolo. In Italia siamo riusciti a invertire questa tendenza e ora c’è un governo che ha più del 60% di consenso popolare perché le misure economiche che abbiamo messo nella legge di bilancio mirano a migliorare la vita dei più deboli”.

LA BATTAGLIA DELLE EUROPEE

L’orizzonte entro cui sigillare questa unione sono evidenti: “Una nuova Europa sta nascendo. Quella dei gilet gialli, quella dei movimenti, quella della democrazia diretta. È una dura battaglia che possiamo combattere insieme. Ma voi, gilet gialli, non mollate!”, è l’invito del leader pentastellato.

In effetti, la prospettiva che il movimento diventi qualcosa che assomigli ad un partito politico, e già in vista delle elezioni europee di maggio non è così fantasiosa, come ha scritto questa mattina Gennaro Malgieri su Formiche.net. “I primi leader s’affacciano. Cominciano ad essere conosciuti. La polizia li tiene d’occhio. Qualche volta li ferma per poche ore o per pochi giorni. I giornali tratteggiano le loro scarne biografie. Insomma, irrompono sulla scena pubblica, mentre fino a poco fa si trinceravano dietro ad un computer, animavano il popolo del web, si esibivano sui social network. Non sono di destra, né di sinistra. O meglio: sono di destra e di sinistra e da quei mondi provengono ovviamente, ma senza far pesare le origini ideologiche (quando ce l’hanno), né le opzioni elettorali recenti. Semplicemente non vogliono essere schiacciati dal carovita, dall’insopportabile pressione fiscale, dalle imposizioni europee che minano soprattutto l’agricoltura, dall’insicurezza connessa al tema dell’immigrazione”.

ANALOGIE

Difficile negare le somiglianze tra i due movimenti. Sempre su queste colonne il filosofo Corrado Ocone le ha ritenute “impressionanti, sia nelle modalità di affermazione sia nella sostanza programmatica. Come i Cinque stelle, i Gilet gialli stanno venendo fuori a partire da un fragoroso e indistinto “vaffa” rivolto alla classe dirigente, come una protesta di carattere soprattutto sociale alle difficoltà del vivere quotidiano, con idee confuse e contraddittorie, con una cifra che tende a imporre una redistribuzione spesso irrealistica di risorse che fra l’altro non ci sono o non ci sono più. Il tutto al di fuori di ogni connotazione politica e partitica ma con una coloritura che un tempo non si sarebbe esitato a definire “di sinistra””. E le evidenze della vicenda sarebbero due: “Il fatto che esso nasca con quasi dieci anni di ritardo rispetto al prototipo italiano, testimonia, da una parte, che il nostro Paese continua ad essere, nel bene come nel male, un laboratorio politico che anticipa tendenze più generalmente europee e occidentali; dall’altra, che l’affermarsi dei movimenti cosiddetti “populisti” non è da considerarsi una momentanea “malattia morale” che le democrazie occidentali presto assorbiranno per ritornare alla vecchia razionalità politica”, nota Ocone.

DIFFERENZE

La differenza più rilevante è la stessa che entrambi i leader del governo gialloverde hanno tenuto a rilevare: la violenza. “Certo, in Italia il “vaffa” grillino si è affermato attraverso manifestazioni di piazza pacifiche, mentre l’insurrezione francese è caratterizzata da aggressività e violenza. Probabilmente ciò è però dovuto a due elementi: l’intrusione di forze no global e classicamente antagoniste nel movimento e una cattiva gestione della protesta da parte delle forze dell’ordine”, ha sottolineato Ocone. Un’altra differenza? “La mancanza nel movimento francese di uno o più leader forti, e in qualche modo propulsori, come sono stati per i pentastellati italiani lo stesso Grillo e Roberto Casaleggio”.

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