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Sui migranti della Sea Watch Salvini ascolti il suo “babbo” politico. Parla Sandro Veronesi

Il mondo della cultura scende in piazza contro la decisione del governo italiano di non lasciare sbarcare i 47 migranti soccorsi dalla Sea Watch davanti alle coste di Siracusa. A piazza Montecitorio si è raccolta una piccola folla di oppositori alla linea dura sbandierata dal ministro del’Interno Matteo Salvini e al grido di “aprite i porti” ha fatto sentire la sua voce. Nel corso del pomeriggio piovoso si sono alternate le voci, tra gli altri, di Luigi Manconi (Pd), Riccardo Magi (Radicali Italiani), Nicola Fratojanni (Leu), Riccardo Gatti, comandante di Open Arms, Michela Murgia, scrittrice, Vittoria Puccini, attrice, Alessandro Bergonzoni, attore e del giornalista Gad Lerner.

Tra i tanti esponenti del mondo della cultura presenti a “Non siamo pesci”, questo il titolo provocatorio della manifestazione, anche lo scrittore, ex Premio Strega con “Caos Calmo”, Sandro Veronesi a cui Formiche.net ha rivolto qualche domanda sul senso profondo della manifestazione e le richieste della piazza.

Qual è il senso di questa manifestazione?

Il senso è restituire a tutta la gente che ha aderito al nostro appello una speranza. In questi giorni abbiamo ricevuto molte adesioni, sostegno e firme a un appello che ha uno specifico scopo: chiedere al Parlamento di istituire una Commissione d’inchiesta che faccia luce sulle stragi nel Mediterraneo e sulle relative responsabilità di modo che non si possano più affermare falsità marchiane. Magari la verità non si scoprirà mai fino in fondo ma forse si riuscirà a scoprire chi traffica esseri umani e chi no.

Cosa chiede questa piazza?

Nell’immediatezza chiede che i 47 migranti fermi sulla Sea Watch vengano fatti scendere. Non è possibile che si debba aspettare ancora. Vogliamo battere il record della nave “Diciotti”? Tanto non ci sono altre soluzioni, dovranno scendere, che si faccia in fretta e che le diatribe e i dibattiti elettorali vengano fatti a terra quando queste persone sono in salvo.

Perché è importante la mobilitazione del mondo della cultura?

Il mondo della cultura non è mai stato silente. Ora siamo arrivati ad un livello di non sopportazione così estremo che anche chi prima non si accorgeva di quello che stava succedendo ora se ne accorge e protesta. Il mondo della cultura si oppone a questa deriva. Per quanto mi riguarda dall’inizio dell’estate, insieme a decine di altri colleghi, mi sto impegnando, anche sacrificando le vacanze o il lavoro. Adesso siamo arrivati ad un punto di intollerabilità tale che anche i meno attenti, anche chi è meno sul pezzo, si rende conto che non si può più rimandare la soluzione di questa che è una questione vitale per il nostro Paese.

Cosa vi preoccupa?

Il tentativo, strisciante, di bullizzare il Parlamento e le istituzioni tutte. E questo da parte di un uomo che rappresenta una forza politica che ha raccolto un consenso elettorale contenuto, 5 milioni di voti, il 17,5% dei votanti, ma che non ha trovato resistenza nei propri alleati di governo e dunque ora è preso da una sorta di delirio di onnipotenza. Noi siamo una democrazia molto complessa, piena di contrappesi, non si può fare ciò che si vuole. E la dimostrazione è che abbiamo potuto manifestare davanti al Parlamento e che nessuno è venuto a mandarci via con gli idranti.

Cosa spera che succeda?

Intanto spero che queste persone, intrappolate sulla Sea Watch, vengano fatte scendere il prima possibile. Ogni giorno in più che restano lì è una vergogna e sono, tra l’altro, solo punti per l’Italia nella necessaria trattativa con il resto d’Europa per cercare di mettere in piedi un meccanismo che non ci penalizzi nella distribuzione dei migranti.

Secondo lei l’Italia sente più degli altri Paesi europei la pressione dei flussi migratori?

Sì perché siamo il Paese di primo approdo. Però è anche vero che per 22 sedute della Commissione Europea nelle quali si sarebbe dovuto ratificare la modifica, già approvata dal Parlamento, del Trattato di Dublino la Lega non si è presentata. Cosa dobbiamo pensare che ci prendono in giro? Perché è proprio lì che bisogna intervenire per modificare un meccanismo permanente. E questo per avere la certezza che quando ci sono emergenze come quella di questi giorni, quando ci sono persone che stanno annegando e noi ci incarichiamo di salvare la loro vita, poi ci sia una distribuzione equa in tutta Europa. Poi, sul serio, stiamo parlando di 47 persone, lo stesso Silvio Berlusconi ha detto che sarebbe uno sforzo minimo.

Crede che il ministro Salvini dovrebbe dare ascolto al presidente Berlusconi?

Credo che dovrebbe ascoltare il suo “babbo” politico e che debba fare marcia indietro. Poi, per carità, su altro non molli ma su questo la smetta.

Secondo lei perché il linguaggio e le tecniche comunicative utilizzate dalla Lega, così come dal M5S, anche nel racconto della questione immigrazione, hanno fatto breccia nel cuore dell’elettorato italiano?

Perché quelle parole c’erano già. Abbiamo cambiato i mezzi per dirle, oggi abbiamo a disposizione mezzi di comunicazione portentosi, ma le cose che vengono dette sono le stesse di 50 anni fa. Se non si fa un lavoro mirato c’è il rischio che dilaghino idee orrende: c’è razzismo, c’è sessismo e dove ancora alligna c’è fascismo. Ora abbiamo strumenti molto sofisticati per divulgarli, a questa sofisticazione occorre rispondere con contenuti di livello che siano in grado di contrastare queste derive.

Dal palco Manconi ha detto che l’Italia non è un Paese razzista. Secondo lei l’Italia, in questo periodo, rischia di illuminare le sue sparute componenti razziste?

Sì, soprattutto se non c’è opposizione. I razzisti hanno smesso di sentirsi minoranza inconfessabile, quello che leggiamo oggi c’era anche prima, non l’ha mica creato Salvini. Per decenni, quelle persone, si sono sentite sacrificate perché nessuno dava loro peso politico. Nella Prima Repubblica la Dc preferiva prendere parte a pastrocchi pentapartitici piuttosto che fare un governo con l’Msi. Adesso invece sono stati sdoganati e questo fa pensare che il Paese abbia svoltato verso destra. Poi c’è il problema della disinformazione, adesso molto più che qualche anno fa. L’utilizzo basso dei social media fa diffondere notizie false e calunniose alle quali chi vuole credere ci crede e su quella fede si cementano delle alleanze scellerate.

Come dovrebbe comportarsi l’opposizione, a partire dal Pd?

Il Pd, a prescindere da cosa fare, deve essere un partito: deve ritrovare l’unità e allontanarsi dalle spinte disgregatrici. Però non è chiamato in causa solo il Pd, tutte le forze democratiche devono rendersi conto che essere un Paese democratico è un bene per tutti. Ieri abbiamo avuto una piccola dimostrazione perché sul gommone c’era un Radicale (Riccardo Magi), uno di Sinistra Italiana (Nicola Fratojanni) e Stefania Prestigiacomo di Forza Italia, che addirittura ha guidato l’imbarcazione con i parlamentari perché ha la patente nautica. Ecco questa è una piccola dimostrazione di ciò che si dovrebbe fare. Poi in Parlamento si può anche bisticciare, ma davanti a una cosa del genere occorre essere compatti.

 

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