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Phisikk du role – Riportiamo a scuola la Costituzione e la storia dell’arte

Come si costruiscono valori condivisi in un Paese che sembra sempre di più attraversato da profonde faglie che lo sezionano e lo feriscono come una California dopo il terremoto? Già perché quest’Italia recessiva – e non solo in economia – con un piede nell’entropia esistenziale e un altro nella rabbia senza requie, ha perso da tempo il senso di una condivisione.

Quel sottoprodotto di “italianismo” che passa oggi il convento, infatti, sta appiccicato a simboli stropicciati di sovranismo prêt-à-porter, un giubbotto esibito come il chiodo di Fonzie di “Happy days”, con sopra, però, la dicitura Polizia nei giorni feriali. Quello della domenica reca Carabinieri. Ma non sono valori condivisi: sono solo elementi che ornano lo storytelling predisposto da un plotoncino di professionisti della comunicazione a beneficio di qualche ministro. I valori condivisi sono qualcosa d’altro e di più profondo. L’appartenenza ad una comunità nazionale che sa riconoscersi nella Costituzione, per esempio, come regola comune, ma anche come esito alto di un processo storico complesso e doloroso, che seppe portare il Paese dal buio di una dittatura e di una guerra devastante alla luce di conquiste democratiche straordinarie e sperabilmente irrevocabili. Dunque la Costituzione è il grumo dei valori condivisi, quelli su cui è costruita la convivenza ed anche la civiltà politica del nostro Paese, ancor più nella stagione che si compiace di definirsi post-ideologica.

Ritornare ad insegnarla nelle scuole – chiamatela come fece Moro nel ‘58 educazione civica, chiamatela educazione alla cittadinanza, chiamatela come vi pare – è cosa buona, giusta e urgente. Perché non si può godere della cittadinanza senza comprenderne il senso: fa sorridere la ricorrente richiesta che viene posta agli immigrati in cerca di cittadinanza di conoscere le nostre leggi e la nostra lingua, quando sull’argomento Costituzione (ma anche grammatica italiana) siamo messi così male.

Ma c’è anche un altro insegnamento obbligatorio che andrebbe prescritto per condividere valori di un’identità italiana e riguarda la sfera della inutilmente evocata “bellezza”. L’Italia è l’idea stessa della cultura occidentale, dell’estetica sublime, dell’opera d’arte capace di emozionare a tal punto da provocare una sindrome dal nome romanticissimo e letterario di Stendhal. Lo è non per un segmento temporale soltanto, ma per i suoi millenni di storia, dai popoli preromani al Novecento. Ogni pezzetto di territorio ha le sue meraviglie, le sue storie, le sue architetture, le sue pinacoteche. Ed ogni storia è miniera di ricchezza. Sconosciuta ai più. Ecco: bisognerebbe insegnare storia dell’arte nelle scuole dell’obbligo, focalizzando anche la storia del territorio. Ma come facciamo a raccontare la grande bellezza se non sappiamo neanche che cosa c’è nel museo della nostra città? Come facciamo ad improvvisarci imprenditori di estetica italiana se non sappiamo balbettare il senso del nostro essere nati qui e non in un qualsiasi altro posto nel mondo?

Ne sono certo, oltre al sempre più tiepido friccicore dell’inno nazionale prima delle partite della nazionale di calcio, il senso comune di un’identità collettiva degli italiani sta proprio qui, in questa coppia smarrita di valori, la Costituzione e la storia dell’arte. Riportiamole a scuola: qualcosa di buono potrebbe accadere.

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