Usata per battaglie ideologiche e politiche senza tregua, intesa come un enorme sistema di ammortizzazione sociale, la scuola è stata depredata da decenni di saccheggi e malizia politica e lobbistica che l’hanno di fatto squassata, resa inefficiente, obsoleta, noiosa e anattraente per larghi strati dell’utenza. Eppure la scuola costa, costa tantissimo, oltre 50 miliardi di euro l’anno, una cifra enorme, seconda solo a quanto lo Stato spende per la Sanità.
Purtroppo i risultati di questo ingentissimo investimento sono bassissimi, a meno che non si voglia intendere la scuola come un immenso ammortizzatore sociale, un blocco pubblico per dare lavoro a caro prezzo e basso rendimento e congelare tutte le contraddizioni della società. In ogni caso gli obiettivi sono stati mancati e anzi, con la legge 107 del 2016, i problemi si sono ulteriormente accentuati, esacerbando le contraddizioni del sistema pubblico d’istruzione italiano e rendendolo ancora più dispersivo e inefficace. Come non pensare, ad esempio, alle migliaia di docenti del cosiddetto “organico potenziato” senza cattedra ma con regolare assunzione a stipendio pieno, che spesso passano le ore di servizio in sala docenti perché non hanno classi? Al contrario, mancano decine di migliaia di insegnanti di sostegno. Eppure la Legge 107 aveva tutte le premesse per risolvere il cuore dei problemi. Si parlava di valutazione, meritocrazia, dirigente responsabile, chiamata diretta dei docenti, mof non più a cascata e a piè di lista, ma di buona gestione, di cui si era trattato in una intervista a Italia Oggi. Poi il premier cedette alle sirene del compromesso pensando di salvare il governo – “chi tocca la scuola muore” – e invece è caduto comunque. Forse in vista delle Europee sarebbe stato (è) meglio tenere alta l’asta e continuare a puntare al cuore dei problemi senza compromessi, occasioni perse sino al silenzio di oggi. SI muore anche di indifferenza.
Le migliaia di assunzioni (150.000 immissioni in ruolo, una cifra che ha dell’incredibile per un paese occidentale, numeri degni della Repubblica Popolare Cinese) non hanno risolto le reali esigenze delle scuole locali e oggi scopriamo che migliaia di questi insegnanti, originari del Sud ma assunti al Nord, stanno presentando domande di riavvicinamento a casa. Si calcola che nella sola provincia di Treviso sono più di 500. Questo vorrà dire di nuovo classi senza docenti, un turn-over che bloccherà il servizio già farraginoso.
Emerge oggi più che mai una visione statalista della scuola che sta letteralmente soffocando la pubblica istruzione, portando l’Italia agli ultimi posti di competitività e efficienza del sistema di istruzione. Solo in Italia (e in qualche altro paese socialista oramai alla fame) pensare all’educazione pubblica gratuita significa pensare alla scuola statale. In tutti i paesi del mondo occidentale la pubblica istruzione è organizzata dal servizio di soggetti (statali, privati, misti) che erogano un servizio finanziato da risorse pubbliche. Come si evince da uno sguardo onesto, reale, scientifico all’Europa, i sistemi dove la concorrenza funziona sono quelli che hanno i migliori sistemi formativi: esempi come la Francia, l’Olanda, i Paesi Scandinavi sono evidenze di un sistema che non può essere monopolizzato dallo Stato. La scuola statale propria dei regimi comunisti del blocco ex sovietico non funziona in Occidente. Siamo una eccezione che ha dell’incredibile: una scuola costosa, il ministero con più dipendenti diretti in Europa (quasi un milione di dipendenti) stanno affossando l’istruzione in Italia. Inoltre, la legge 62 del 2000 ha sancito la parità scolastica tra scuole statali e paritarie, ma non ha dato gli strumenti necessari per garantire l’effettiva parità di esercizio: finanziamenti irrisori e una disuguaglianza di trattamento dei docenti spaventosa. Elementi come questi, uniti al fatto che le famiglie debbano pagare due volte la libertà di scelta educativa, rendono il sistema assolutamente non concorrenziale generando i noti problemi dei sistemi monopolistici. (Video)
Eppure continua ad essere un tema politico che dev’essere affrontato: il rilancio di un Paese parte dal suo sistema di istruzione e dalla sua capacità di generare innovazione e cultura.