Ieri, grazie alla lodevole iniziativa delle scuole milanesi, di portare centinaia di ragazzi ad incontrare Liliana Segre, ho seguito anche io in streaming la testimonianza della senatrice a vita. Nella platea, infatti, c’era mia figlia e, provando a immaginarmi al suo fianco, ho colto l’occasione per riascoltare il racconto, sempre ben oltre i limiti dell’incredibile, di questa straordinaria e preziosissima testimone dell’Olocausto.
La memoria, per un Paese che voglia dirsi realmente democratico e consapevole, è tutto. Memoria di ciò che è stato, di perché è stato, di come sia stato possibile. Ascoltare non basta mai, anche se a tratti risulta intollerabile, persino per chi ha molto letto del più aberrante crimine, nella storia dell’umanità. Seguendo rapito i ricordi lucidi e devastanti di Liliana Segre, non ho potuto non pensare a come lo scorrere del tempo ci stia inesorabilmente privando di alcune tra le voci più ricche della nostra coscienza.
All’ineluttabile possiamo opporre soltanto il nostro impegno, nell’approssimarsi della giornata della memoria, ma non solo in occasione del 27 gennaio di ogni anno. Questo sforzo, che dovremmo sentire come un’urgenza tutti noi adulti, deve passare – a mio modesto avviso – anche da un’analisi fredda e distaccata delle polemiche di tutti giorni. L’Italia è un Paese che ha fatto una fatica terribile a fare i conti con la propria storia e la propria memoria. Non è bastata un’intera guerra fredda e la sua fine a portarci ad un’analisi condivisa del nostro passato. Che a inizio terzo millennio si sia ancora pronti a bollare come fascista o comunista l’avversario politico di turno è intollerabile.
Intollerabile in modo doloroso, mentre ascolti i ricordi di una testimone come Segre. La polemica e la critica anche acida sono parte del confronto democratico. Che non sempre può essere un cavalleresco scambio di opinioni. Non si può, però, continuare a giocare con i fantasmi del passato. È un gravissimo errore, che può commettere solo chi il passato non lo conosce o fa finta di non conoscerlo. Agitare i peggiori incubi della nostra storia, per guadagnare punti in un talk o in un sondaggio è un gioco irresponsabile e pericoloso. Vale per tutti, in tutti gli schieramenti. Non la merita la nostra storia, ancor meno lo meritano i reduci di quella allucinante follia collettiva, che portò alla Shoah. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi: riconsegnare alla civiltà il dibattito pubblico.