Ho sempre apprezzato le analisi dell’ambasciatore Sergio Romano, pur talvolta non condividendole, ma sono rimasto sinceramente stupito dal suo ultimo intervento sulla Nato sul Corriere della Sera. Arrivare a concludere, dopo essere partiti dal tema delle sanzioni alla Russia, che l’Alleanza Atlantica costituisce un potenziale rischio per la pace e la stabilità mi sembra del tutto antistorico, per una serie di ragioni che cerco di riassumere.
La riduzione degli scambi commerciali con la Russia, assai più che alle sanzioni internazionali, è dovuta alla situazione di recessione del Paese innescata dal crollo del prezzo del petrolio. La situazione economica è drammatica, il Pil è di poco superiore a quello della Spagna, il presidente Putin ha investito nelle spese militari il tesoretto che aveva accumulato in 10 anni di esportazione di risorse energetiche.
Dopo la fine della guerra fredda, il peso che la Nato attribuiva agli aspetti militari era andato progressivamente riducendosi. Delle circa 50 missioni internazionali condotte da allora, solo tre sono state di tipo militare: per il resto l’Alleanza si è dedicata ad attività di peace keeping, prevenzione, gestione dei post conflitti, operazioni antipirateria e antiterrorismo, interventi in caso di catastrofi naturali. Il tutto, spesso, in collaborazione con le Nazioni Unite.
L’aggressività internazionale è sempre stata per Putin il solo modo per tenere alta la propria popolarità interna. Ad ogni calo dell’indice è corrisposta una azione militare in terra straniera. Georgia, Transnistria, Crimea e Ucraina (più recentemente anche la Siria) sono lì a dimostrarlo. Le popolazioni dei Paesi ex sovietici sono terrorizzate, la gente va a letto la sera e non è sicura di risvegliarsi ancora sotto la propria bandiera (affermazione che ho sentito più volte negli ultimi anni). Sono questi timori che, dopo i fatti dell’Ucraina nel 2014, hanno riportato alla ribalta l’articolo 5 del trattato, che stabilisce il principio del mutuo soccorso tra gli alleati in caso di minaccia, costringendo la Nato ad innalzare nuovamente il livello di deterrenza.
Dunque, la responsabilità del quadro di tensioni ha un solo responsabile, il Presidente russo. La Nato continua a essere una alleanza difensiva, quella stessa che ha garantito, insieme all’Unione Europea, 70 anni di pace, stabilità e sicurezza al nostro continente.
La narrativa filorussa dell’allargamento ad est della Nato è un falso storico. Putin giustifica l’annessione della Crimea alla luce del principio di autodeterminazione dei popoli (riferendosi, peraltro, a un referendum assai dubbio): sulla base di questo stesso principio, allora, dovrebbe rispettare la libera scelta di Polonia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Albania, Montenegro che, dal 1999 ad oggi, hanno deciso di aderire alla Nato e, se si eccettuano gli ultimi due casi, anche alla Ue; sottoponendosi, peraltro, ai lunghi e faticosi processi di democratizzazione interna e di controllo democratico sulle forze armate imposti dalla stessa Nato. E oggi Ucraina, Moldova, Georgia, Bosnia, Macedonia hanno lo stesso diritto, avendo la larga maggioranza dell’opinione pubblica favorevole alla integrazione euro-atlantica (come in questi giorni ha nuovamente dichiarato il premier georgiano Bakhtadze). Non è stata, quindi, la Nato ad allargarsi minacciosamente verso la Russia, sono stati i Paesi ex sovietici ad abbracciare l’alleanza con il libero Occidente contro il rischio del ritorno sotto il neo-imperialismo putiniano. Noi, che la dittatura sovietica non la abbiamo sperimentata sulla nostra pelle, forse non possiamo capire fino in fondo, ma un minimo di onestà intellettuale non guasta.
Se mi è permesso, concludo con un timore: ora, che la popolarità interna di Putin sta nuovamente crollando, speriamo che il leader del Cremlino non reagisca, anche questa volta, mostrando i muscoli sugli scenari internazionali, non ne abbiamo bisogno. Intanto, si precipita a Belgrado per cercare di mantenere l’ultimo baluardo di influenza nei Balcani, ora che anche Macedonia e Bosnia si apprestano ad avviare le procedure di adesione alla Nato (e, se non fosse stato per questa prospettiva, la Macedonia non avrebbe posto fine, dopo quasi trent’anni, alle dispute con la Grecia sul nome).
Stia comunque sereno l’ambasciatore Sergio Romano: Putin non ha bisogno di avvocati in Italia, anche se autorevoli ex ambasciatori a Mosca: sa difendersi (e attaccare) molto bene da sé, con tutti i mezzi, leciti e (soprattutto) illeciti, di cui dispone.