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Dopo Francia e Germania, anche la Spagna punta sulla Difesa. E l’Italia?

Se mai ce ne fosse stato bisogno, la nuova puntata del caso Fincantieri-Stx ha svelato due aspetti da cui sarà ora difficile prescindere: primo, le ambizioni di Francia e Germania nel campo dell’industria continentale, atte ad assumere la guida del Vecchio continente. Secondo, la necessità di un presidio costante degli interessi italiani, in tutte le sedi opportune. Sarà bene tenerlo a mente nella partita che si è già aperta sulla Difesa comune dell’Unione europea, da affrontare con forza negoziale e (punto dolente per l’Italia) investimenti nel settore. Un nuovo segnale in questa direzione arriva da Madrid.

LE PAROLE DEL MINISTRO

“Gli investimenti in armamenti militari sono necessari non solo per difendere gli interessi della Spagna e riaffermare l’impegno con gli alleati, ma anche per contribuire al benessere e all’occupazione del Paese”. Lo ha detto di fronte al Re, al primo ministro e a tutti i vertici delle Forze armate, il ministro spagnolo della Difesa, Margarita Robles, intervenendo (come da tradizione) all’evento annuale della Pascua militar, cerimonia con cui, ogni 6 gennaio, il capo dello Stato riceve nella Sala del trono del Palazzo Reale il governo e i rappresentanti militari. Un contesto tra i più formali per la Spagna, in cui la numero uno della Difesa ha presentato con convinzione il programma dell’esecutivo per il complessivo rinnovamento dello strumento militare spagnolo.

IL PROGRAMMA SPAGNOLO

Come già annunciato a dicembre, si prevedono nuovi investimenti per circa 7,3 miliardi di euro, destinati a fornire alle Forze armate tecnologie “adeguate e moderne”. Tra queste, ci sono cinque fregate F-110 realizzate dal campione spagnolo Navantia, ben 348 veicoli militari 8×8 Dragòn e l’aggiornamento del velivolo Eurofighter. Nel complesso, ha ricordato il ministro, si tratta del più cospicuo piano di investimenti dal 1997, finalizzato “non solo alla Difesa degli interessi della Spagna, ma anche come parte di una responsabilità collettiva e di un consenso internazionale con i partner e gli alleati”. L’obiettivo è mantenere “l’autonomia strategica”, ragion per cui la Robles ha evidenziato altresì la necessità di focalizzare gli investimenti in aree a forte innovazione. Tra tutte, l’intelligenza artificiale e “lo sfruttamento dello spazio extra-atmosferico a beneficio degli interessi di sicurezza nazionale”.

I PIANI DI PARIGI…

In questo modo, la Spagna si inserisce a pieno titolo tra i Paesi europei più ambiziosi sul fronte della Difesa. Il gruppo è guidato senza dubbio dalla Francia che, con l’uscita del Regno Unito, è la naturale candidata ad assumere un ruolo guida negli sforzi dell’Unione europea nel settore. Certo, tale obiettivo è accompagnato dalla tradizionale vocazione transalpina per un’interpretazione piuttosto radicale del concetto di “autonomia strategica”, inteso come processo per slegarsi dagli Stati Uniti. In tal senso, è stato piuttosto emblematico il botta e risposta tra Emmanuel Macron e Donald Trump sull’esercito europeo, dibattito che condì la cerimonia parigina per il centenario della fine della Grande guerra lo scorso novembre. Da parte sua, la Francia può contare su un comparto industriale ben strutturato e sul sostegno ad esso assicurato dalle istituzioni nazionali. A ciò si aggiunge il piano pluriennale messo in piedi dal governo per mantenere costante l’incremento della spesa per la difesa nei prossimi anni. Nel 2018, il budget francese si aggirava intorno ai 35 miliardi di euro. Il progetto dell’esecutivo prevede incrementi di 1,7 miliardi all’anno tra il 2019 e il 2022, e di 3 miliardi all’anno fino al 2025. A quel punto, la spesa per la Difesa dovrebbe equivalere al 2% del Pil, obiettivo definito in ambito Nato.

…E DI BERLINO

Pur con un’interpretazione più soft di “autonomia strategia europea” (simile a quella perseguita dal nostro Paese), anche la Germania ha, da qualche anno, deciso di puntare sulla Difesa. Il riferimento è il Libro bianco del 2016 che, nota l’economista Lorenzo Pecchi, “ha impresso una svolta alla sua politica estera e della sicurezza”. Difatti, aggiunge l’esperto, “fino al 1994 la Germania non partecipava neppure alle missioni internazionali di peace-keeping”. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato e così “il budget, che attualmente è stimato intorno a 38,5 miliardi di euro per il 2018, sarà portato con lievi incrementi annuali a 42,7 miliardi nel 2022, equivalenti a 1,2% del Pil”. In più, lo scorso novembre è iniziato al Bundestag l’iter parlamentare su una proposta di budget che assicurerebbe al settore un aumento di altri 5,7 miliardi di euro dopo il 2020. Il piano è stato redatto direttamente dal ministero delle Finanze, guidato da Olaf Scholz, anche se l’impulso determinante è da attribuire alla titolare del dicastero Difesa Ursula von der Leyen, che aveva rifiutato la precedente proposta perché considerata troppo risicata.

LA SPINTA DI BRUXELLES

Su tutto questo influisce la convinzione che il contesto internazionale sia diventato più imprevedibile, denso di minacce in continua evoluzione. Convinzione che a Bruxelles si è tramutata in una doppia spinta: il progetto per la Difesa comune (sponda Unione europea) e l’impegno a raggiungere il 2% del Pil da dedicare al settore (sponda Nato, con tanta pressione dagli Usa di Donald Trump). Per quanto riguarda l’Ue, sono già stati attivati l’Azione preparatoria per la ricerca (Padr) e il Programma europeo di sviluppo dell’industria (Edidp, con 500 milioni nel biennio 2019-2020). Sono le fasi che anticipano il più cospicuo Fondo europeo per la Difesa (Edf), per cui la proposta della Commissione parla di 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Come sembrano aver inteso Madrid, Berlino e Parigi, tali risorse non sostituiscono gli sforzi nazionali, anzi. Per poter partecipare ai programmi e ottenere lavoro (e dunque occupazione e opportunità di export), c’è bisogno di investire, di mettere capacità e finanziamenti nei progetti comuni.

VERSO IL CACCIA DEL FUTURO

Certo, come dimostra il caso Fincantieri-Stx, la partita non si giocherà solo nei contesti dell’Unione europea. In tal senso, restando nel campo della difesa, le ambizioni di Francia e Germania si sono già manifestate sul “caccia del futuro”, il velivolo di sesta generazione che dovrà sostituire gli Eurofighter e volare insieme agli F-35 a partire dal decennio 2040. Parigi e Berlino si sono impegnate in una collaborazione bilaterale (sul Fcas) che difficilmente lascerà ad altri la possibilità di aderire da leader. Che il progetto sia rilevante lo ha dimostrato proprio la Spagna, presentando richiesta formale di adesione lo scorso dicembre. Londra ha già fatto la contromossa, presentando a luglio il progetto nazionale denominato Tempest. Per ora, spiegava qualche settimana fa il neo capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Alberto Rosso, si tratta di “scaramucce tra equilibri industriali”. Probabilmente, l’Europa, tutta insieme, si doterà di “un unico esemplare”. Eppure, aggiungeva, “occorre iniziare ora a parlarne”, senza aspettare quando sarà troppo tardi, quando l’unica opzione possibile sarà aggregarsi a un progetto deciso da altri. D’altronde, Francia e Germania non sembrano proprio intenzionate ad aspettarci.

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