Quale sarà il futuro economico del nostro Paese, tra il dubbio di una stagnazione e quello di una recessione, chiuso nella tenaglia del rallentamento preavvisato da Mario Draghi e accentuato ulteriormente dalla mancanza di investimenti della legge di bilancio, è tutto da scoprire. Il tutto mentre l’Italia è nel limbo di una aspettativa tradita, di quella parte di italiani che avevano creduto ingenuamente che sia il reddito di cittadinanza che l’anticipo della pensione sarebbero stati realizzati con risorse che non ci sono.
Già nel 2018 le nostre esportazioni sono diminuite, così i consumi delle famiglie, mentre gli investimenti in macchinari e impianti subiranno una vera e propria recessione a -1% dal +5,5% del 2018 anche a causa dell’eliminazione delle agevolazioni e degli incentivi dell’iper-ammortamento per le imprese che investono in macchinari, previsto nel 2017/2018 dal Piano industria 4.0 ora privato delle risorse.
Già da ottobre si erano cominciate a sentire le incertezze sulla politica economica del governo e oggi che si è confermato e registrato un calo della produzione industriale non possiamo che prendere atto che è addirittura peggiore delle attese e che l’ulteriore frenata dei consumi al dettaglio sia su base mensile che annua, denunciano la fragilità del nostro sistema economico. Nella versione finale della Legge di Bilancio 2019 gli investimenti pubblici sono stati ridotti di circa 1,5 miliardi rispetto alla prima versione.
Non va dimenticato che gli effetti delle spese per investimenti pubblici si manifestano molto lentamente. Più importante sarebbe stato non modificare gli incentivi fiscali che erano già in vigore e non indebolire l’innovazione. Ciò incide sui programmi di investimento di medio termine da parte delle aziende e le disorienta fortemente. Si tenga conto che sono prevalentemente le imprese che esportano a effettuare investimenti di innovazione, sollecitate dalla concorrenza internazionale, favorite dall’essere prossime per i loro processi produttivi alla frontiera delle tecnologie.
Per queste imprese gli incentivi fiscali e i sostegni pubblici in generale sono ancora più necessari quando la dinamica delle esportazioni rallenta per non far loro perdere il passo con l’evoluzione della tecnologia. Ma se si blocca tutto diminuiscono ovviamente le produzioni e anche le esportazioni. Sostenere la produzione industriale significa rendere sostenibile il costo del lavoro riducendo il costo delle contribuzioni per le aziende e mettendo salario fresco e pulito nelle buste paghe dei lavoratori: questa è l’unica vera riforma che aiuterebbe la ripresa.
Teniamo conto che lo spread si aggira costantemente sopra il 260 punti base e a livello internazionale la modificazione della politica monetaria della Bce che si prospetta ancora espansiva, ma in misura minore degli anni del Qe, contemporaneamente alla prospettiva di rallentamento della crescita del commercio mondiale dal 4,1% del 2018 al 2,9% di quest’anno, mette in difficoltà i Paesi a prevalente attività manifatturiera e, nel caso italiano, in condizioni finanziarie più fragili.
Tutti guardano alle elezioni europee, che non cambieranno di molto gli equilibri odierni politici e dunque la composizione della futura Europa, ma il problema vero è già davanti a noi: a settembre, quando saranno disponibili i dati del pil del primo semestre e la crescita si sarà aggirata tra lo 0,3% e lo 0,4% rispetto al primo semestre del 2018 e il disavanzo pubblico si prospetterà superiore a quello attualmente previsto per l’intero 2019, una sterzata della politica economica in favore di una maggiore crescita sarà indispensabile per far fronte all’andata a regime del Reddito di Cittadinanza e di Quota 100, biasimata giustamente dal presidente Inps Boer, e ai 23 e 29 miliardi di aumenti di Iva previsti rispettivamente per il 2020 e 2021. Il governo attuale è arrogante e incapace di cambiare politica economica e dunque a maggio dopo le elezioni europee sarà un’altra maggioranza a governare.