Il Venezuela è tornato a fare notizia. In quest’occasione, per fortuna, non per i morti in piazza. La manifestazione dell’opposizione di ieri si è conclusa pacificamente. Ma alla fine della giornata di protesta il Paese si è sdoppiato, ancora una volta.
Da anni, i venezuelani si trovano a dovere gestire due Parlamenti e ora anche due presidenti. Da quando il partito di governo, Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv) ha perso la maggioranza dei seggi all’Assemblea Nazionale, nell’ultimo processo elettore legittimo che sia stato fatto nel Paese, nell’anno 2015, il governo di Nicolás Maduro ha deciso semplicemente di dare una stoccata all’istituzione creandone, dal nulla, un’altra.
A Natale dell’anno successivo, nel 2016, l’onorevole Pier Ferdinando Casini è volato a Caracas per constatare la situazione critica nella quale vivono i venezuelani (senza cibo né medici) e una gran comunità di italiani residenti nel Paese sudamericano. E ha incontrato i parlamentari venezuelani per esprimere solidarietà e chiederne il riconoscimento della legittimità. All’epoca, pochi in Italia ne hanno parlato.
Nel 2017, una delegazione del Movimento 5 Stelle composta da Manlio Di Stefano e Ornella Bertorotta è andata in Venezuela ad incontrare rappresentanti del governo di Maduro e, successivamente, il presidente dell’Assemblea Nazionale di allora, Julio Borges.
Le presidenziali del 2018, con cui Maduro avrebbe vinto un secondo mandato, sono state una farsa elettorale. Dagli Stati Uniti alla Germania, la comunità internazionale ha confermato la mancata trasparenza del voto. Persino l’impresa incaricata della gestione del sistema elettronico di votazione, Smartmatic, ha ammesso l’inquinamento dei risultati. Ma non è bastato, dall’Italia ancora silenzio.
Da ieri, con l’insediamento del nuovo presidente dell’Assemblea Nazionale, il giovane Juan Guaidó, l’opposizione venezuelana si sta giocando una raffinata mossa giuridica (qui l’intervista al consulente giuridico del Parlamento, l’avvocato costituzionalista Enrique Sánchez Falcón). Con la Costituzione in mano (scritta e approvata nel 1999 dal presidente Hugo Chávez) si è attivato – pacificamente – un processo di transizione per fare uscire il Venezuela dalla crisi economica e umanitaria. E fare cadere un governo corrotto, coinvolto in diverse indagini per narcotraffico, che ha violato sistematicamente i diritti umani e non lascerà il potere facilmente.
Il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto immediatamente Guaidó come presidente del Venezuela. A seguire, il premier canadese Justin Trudeau e i governi latinoamericani (tranne quelli ideologicamente vicini a Maduro: Bolivia, Cuba, Uruguay, Messico e Nicaragua). Russia e Cina, che da poco hanno siglato una serie di affari militari ed economici, si sono schierati a favore di Maduro.
In questa fase, per il Venezuela è fondamentale il ruolo della comunità internazionale. Chi crede nella potenza della politica e della diplomazia sulle armi, i carri armati e le bombe, deve prendere una posizione netta a favore di Guaidó.
Al di là dello scacchiere geopolitico – in cui il Venezuela ora si trova a fare l’ago della bilancia – questo è il momento di rompere il silenzio. È doveroso. In nome dei diritti umani, la libertà e la democrazia.