La sinistra che non si riconosce nel Partito democratico prova a riorganizzarsi in vista delle prossime elezioni europee. Dopo i risultati non proprio incoraggianti delle ultime elezioni politiche i partiti della galassia progressista provano ripartire dai fondamentali per presentare un’offerta politica credibile agli elettori chiamati a scegliere come comporre il prossimo Parlamento Europeo. L’organizzazione e parole d’ordine pronunciate dai parlamentari e dagli attivisti di Leu nel corso dell’evento “Per i molti. Verso un partito di sinistra”, presso il Teatro Lo Spazio in zona San Giovanni a Roma, sono: lavoro, ambiente, Europa e democrazia. Temi che confluiranno nel manifesto dei valori che sarà redatto alla fine di marzo, entro quella data sarà anche presentato un nuovo simbolo e proposto un nuovo nome, per un contenitore che possa ospitare anche altre formazioni politiche che abbiano la medesima visione del mondo.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con il senatore di Liberi e Uguali Francesco Laforgia, capogruppo misto (Leu) commissione Lavoro Senato e segretario della presidenza del Senato della Repubblica.
Qual è la proposta politica che arriva dall’Assemblea di Leu?
La sinistra del dopo 4 marzo è devastata, è un campo pieno di macerie. La nostra impressione è che non si riesca a sollevare il livello di una discussione, di uno sguardo sul Paese e sull’Europa che riponga sul tavolo le ragioni di una sinistra più forte che contrasti la destra, in Italia e nel mondo. Noi pensiamo che queste ragioni ci siano ancora, nonostante il risultato elettorale, ed è per questo che ci siamo rimessi in cammino facendo appello a tutte le forze che a sinistra si riconoscono in due questioni: la lotta alle disuguaglianze e la questione ambientale. A partire da questi due punti noi proviamo ad immaginare un progetto che ha come prima tappa le elezioni europee ma con lo sguardo anche a ciò che può accadere dopo.
La prossima settimana ci saranno le elezioni per le primarie del Partito Democratico. Secondo lei cosa può cambiare nel vostro rapporto con il Pd a seconda che vinca Martina o Zingaretti?
Chiunque vinca il congresso e volesse mettere fine alla stagione del renzismo sarà sicuramente un interlocutore più interessante di chi c’era prima alla guida del Partito Democratico. Non mi spingerei, oggi, a dire che ci sono le condizioni per un dialogo o per future coalizioni. In ogni caso per dialogare con chiunque è necessario un pensiero autonomo della sinistra.
Certo che, il candidato più accreditato, Nicola Zingaretti, non si è ancora mai espresso sulla stagione più recente e sulle politiche per noi sbagliate di riforma del mercato del lavoro, sul jobs act, sulla riforma costituzionale e la riforma della scuola. Finché la sinistra continua a rimuovere le ragioni della sua sconfitta sarà difficile che si rimetta in campo.
Quali sono i tavoli sui quali vi vorreste sedere a parlare con il Pd?
Le questioni che a noi stanno a cuore. Prima di tutto in questo Paese c’è una questione democratica. Un partito che fa votare una scelta delicata, come quella dell’autorizzazione a procedere a carico di un ministro, su una piattaforma tecnologica di proprietà di un privato e senza controllo è un partito che sposta il punto di sovranità dal Parlamento verso l’esterno. Quella è una decisione che attiene all’autonomia del Parlamento. Mi pare chiaro che ci sia un problema di democrazia. Per noi democrazia vuol dire attuazione dell’articolo 49 della Costituzione sulla centralità dei partiti, vuol dire contrastare l’autonomia differenziata perché c’è il rischio che diventi una secessione dei ricchi. Il secondo aspetto è la grande questione del lavoro e la questione sociale. Noi abbiamo punti da mettere al centro del dibattito e della nostra iniziativa, penso ad esempio alla proposta di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, piuttosto che tornare a un tratto costituzionale della progressività fiscale, il che vuol dire che in un Paese che è diventato molto diseguale come il nostro chi ha di più deve dare di più. E infine la questione ambientale. Su democrazia, lavoro e ambiente noi vogliamo trovare un nuovo profilo, una nuova identità e su quella proposta costruire il dialogo con chi ci sta.
L’ex ministro Carlo Calenda ha scritto su Twitter che se il Pd si avvicina a Leu lui non ci sta più.
Bene, noi ci sentiamo lontani dai ogni fronte repubblicano, come quelle proposte alla Calenda, che su un impianto neo liberista propongono una sorta di ammucchiata di forze politiche non ben definite contro i cosiddetti barbari o fascisti. Ecco noi pensiamo che questo sia il regalo migliore per i populismi.
Quali sono i vostri interlocutori naturali?
Il tema non sono gli interlocutori ma mettere insieme le forze che condividono i valori della sinistra. Se ci fosse dalle parti dei Verdi, dalle parti di Sinistra Italiana o dalla galassia, ahimè, frantumata della sinistra un segnale di disponibilità a stare dentro una proposta per le europee e a costruire qualcosa per il dopo noi ci saremmo.
Due settimane fa i sindacati sono scesi in piazza e tra le ragioni della protesta c’era anche l’introduzione del Reddito di Cittadinanza. Oggi dal palco della vostra assemblea sono arrivate parole di critica a uno dei cavalli di battaglia del M5S, ci spiegate perché?
Noi siamo contro contro la tesi “divanista” che è quella propinata dal Pd, contrario al reddito di cittadinanza perché sostiene che cosa i giovani restano sui divani a poltrire. Non è così perché molti giovani vivono una condizione di precarietà devastante, non riescono a lasciare casa, a mettere su famiglia, questo vale per i giovani e per i meno giovani che sono stati espulsi dal mondo del lavoro. Ecco noi contrastiamo questa tesi ma contrastiamo anche l’implementazione dello strumento del Reddito di Cittadinanza così come lo stanno immaginando il M5S e la Lega perché è un ibrido tra una misura di contrasto alla povertà e una misura di politica attiva del lavoro. In questo ibrido si perde efficacia e rischia di essere, sostanzialmente, una misura che non ha un disegno di società, di come si possano emancipare le persone che stanno davvero in una condizione di difficoltà materiale e non solo. Noi ci stiamo battendo di Commissione, ma lo faremo anche in Aula, affinché quello strumento venga implementato in modo diverso da come lo stanno immaginando.
Come considerate la nomina di Pasquale Tridico, uno degli ideologi del Reddito di Cittadinanza, ai vertici dell’Inps?
Tridico è considerato un bravo accademico, su questo esprimiamo anche un giudizio positivo, il punto è la modalità. Queste due forze politiche avrebbero dovuto portare una ventata di novità sul piano del metodo e di come si trattano le istituzioni e i processi democratici parlamentarti, invece l’impressione è che la nomina di Tridico sia frutto di uno scambio con la scelta di non concedere l’autorizzazione a procedere a carico del vicepremier Matteo Salvini. Una sorta di prebenda al M5S, che incassa la presidenza di uno delle istituzioni più importanti di questo paese.
L’ultima settima ci sono state un po’ di critiche per la scelta di Leu di astenersi dal voto sull’introduzione nell’ordinamento italiano del referendum propositivo. Perché questo atteggiamento?
Quando si portano in aula proposte di carattere costituzionale, come l’introduzione del referendum propositivo o la riduzione dei parlamentari, il corredo degli argomenti con cui porti questi argomenti è importante esattamente quanto il contenuto stesso. L’impressione è che ci sia, da parte delle forze politiche della maggioranza, il tentativo di giocare con la costituzione solo ai fini di una propaganda da spendere in campagna elettorale. La Costituzione è la Bibbia laica di questo paese e noi alla prima lettura di questi passaggi abbiamo votato contro o ci siamo astenuti proprio perché vogliamo capire se queste riforme possono essere instradate su binari diversi da quelli immaginati fino ad ora.