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Perché sull’autonomia regionale hanno ragione tutti

Di Carlo Lottieri
autonomia regionale

L’iniziativa autonomista avviata da alcune regioni del nord sta riportando al centro del dibattito la cosiddetta questione settentrionale. I fautori di questo regionalismo differenziato sostengono che non vi sia nulla di egoistico né di illegittimo nel desiderio di avvicinare le decisioni ai cittadini. Per quanti spingono verso un riassetto del rapporto tra centro e periferia, è importante che chi finora ha saputo amministrarsi bene possa essere messo alla prova pure in settori oggi gestiti da Roma. In sostanza, si tratterebbe di applicare il principio di sussidiarietà, lasciando che lo Stato si occupi soltanto di quello che le realtà locali non sanno e non vogliono amministrare.

La tesi avanzata dal ministro Erika Stefani è che l’attribuzione di queste autonomie – inizialmente a costi storici (confermando, quindi, la redistribuzione territoriale attuale) – sarebbe vantaggiosa per l’Italia nel suo insieme, poiché se il Veneto e la Lombardia potessero procedere più velocemente ne trarrebbero beneficio tutti. Sull’altro fronte le critiche sono puntuali. Economisti meridionali come Gianfranco Viesti e Pietro Navarra parlano apertamente di un “egoismo dei ricchi”. Ai loro occhi, se oggi l’autonomia si realizzerà senza alterare la redistribuzione, domani si cercherà di adottare qualche criterio standard. D’altra parte sono anni che si sottolinea che una siringa in talune Regioni è pagata dieci volte di più che in altre: è fatale che ora si voglia porre fine a tutto ciò.

In un certo senso, hanno ragione tutti. Da un lato è vero che le autonomie sono destinate a responsabilizzare chi spende e, quindi, possono solo far bene agli italiani. Ed è anche corretta la considerazione che l’autonomia soft di cui si sta discutendo non intende assicurare al Veneto, ad esempio, le condizioni di cui godono il Trentino o la Sicilia. In questo senso Luca Zaia ha ragione quando invita gli italiani del sud a non allarmarsi.

Eppure qualcosa di nuovo, pur con fatica, sta effettivamente venendo alla luce e questo giustifica talune preoccupazioni, specie se provengono da quanti temono il venir meno dei residui fiscali attuali. Ogni processo autonomistico è destinato a favorire la progressiva responsabilizzazione delle varie realtà. Il legittimo egoismo di chi, in Lombardia, non vorrebbe più destinare ogni anno circa 5mila euro pro capite al resto del Paese può trovare più ascolto in un’Italia delle autonomie che non in una accentrata.

E se nel lungo periodo la localizzazione del prelievo della spesa e del prelievo gioverà a tutti, nell’immediato questo si traduce in meno risorse per il sud. Va aggiunto che per quanti vogliono lasciare le cose come sono, non è ingiusta la situazione attuale, anche se penalizza il nord con una tassazione da rapina e il sud con un assistenzialismo che genera sottosviluppo.

Per i difensori dello status quo sarebbe invece iniquo porre fine agli attuali trasferimenti, dato che secondo la costituzione si devono fornire i medesimi servizi a tutti gli italiani e questo basterebbe a bloccare ogni riforma. In realtà, se una qualche autonomia prima o poi verrà concessa e se il Veneto, ad esempio, potrà un giorno tassarsi da sé e provvedere ai propri bisogni, le Regioni meridionali dovranno guardare in faccia la realtà e reagire di conseguenza.

Dovranno soprattutto riequilibrare il rapporto tra pubblico e privato (sbilanciato a favore del primo), vera condizione per avere un futuro. In tal senso, ma solo in tal senso, è corretto sostenere che nel lungo termine il sud ha da guadagnare dalle autonomie chieste dalle realtà settentrionali.

Tutto ciò è giusto in sé e, alla fine, vantaggioso per tutti. Ma è vero che se, tra qualche anno, dovesse ridursi il flusso di denaro che lascia il nord per andare nel Mezzogiorno (ciò che ora non avverrà), la società meridionale conoscerà una fase difficile: uno choc che può essere positivo solo se saprà stimolare a reagire, dare spazio alle migliori energie, favorire quella valorizzazione dello spirito imprenditoriale che in tutti questi decenni non si è vista.

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