“Matteo Salvini? È una Chiara Ferragni che non ce l’ha fatta”. È questo il “primo tweet” che Matteo Renzi “regala” ai giornalisti presenti alla presentazione di “Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani”, ed Marsilio.
L’ex premier prende la rincorsa per il suo rilancio ripartendo, come suo solito, da un libro.
Quello del Tempio di Adriano è stato un vero e proprio one man show in cui l’ex premier, incalzato dalle domande di Lucia Annunziata e Virman Cusenza, ha messo in campo tutte le sue ben note armi dialettiche alternando il ruolo di intervistato e moderatore riuscendo a tenere a bada una platea molto calda e appassionata.
Presenti in prima fila tutti i più fedeli “renziani”: Maria Elena Boschi, Patrizia Prestipino, Teresa Bellanova, Lucia Annibali, Pier Carlo Padoan, Valeria Fedeli, Emanuele Fiano, Luigi Marattin, Luciano Nobili, Ettore Rosato, Anna Ascani, Ivan Scalfarotto, Gennaro Migliore, Pier Ferdinando Casini e Ernesto Carbone.
Proprio margine di questa presentazione abbiamo rivolto qualche domanda a Luigi Marattin, in passato consigliere economico dell’ex premier Matteo Renzi.
Qual è la nuova strada che deve seguire il Pd?
Il Pd, dopo aver legittimato ampiamente una leadership con le primarie e dopo aver legittimato la linea politica negli organismi dirigenti, non è stato capace a mantenere quella linea unitariamente all’esterno. Negli ultimi anni ogni volta che noi proponevamo una linea politica o una proposta particolare prima ancora degli avversari eravamo noi al nostro interno a distruggerla. Ecco questo modo di fare indica una comunità politica sfilacciata, senza la coesione interna che caratterizza tutte le organizzazioni in generale non si va da nessuna parte. Quindi o il Pd riesce a mettere mano a questo modo di tornare comunità politica o c’è poco da fare.
In vista del congresso il Pd si ritrova ad un bivio: scegliere la via liberale o quella socialista. Ma la sfida vera non potrebbe essere trovare la sintesi tra questi due aspetti?
Magari il congresso fosse questo. Io non mi sono schierato proprio perché non ho visto confrontarsi due approcci diversi. I cosiddetti sostenitori dell’approccio liberale sono sparsi su tutte e tre le mozioni, il che fa già capire che c’è qualcosa che non va. Proprio per questo ho preferito non schierarmi perché lo ritengo un confronto strano, forse più un posizionamento dei gruppi dirigenti che non un confronto tra differenti opzioni politiche ma lo dico con rispetto verso chi, invece partecipa al congresso, ma non mi ha entusiasmato questo modo di impostare un ragionamento congressuale.
Se lei dovesse disegnare il Pd del futuro come lo disegnerebbe?
Beh com’è noto io credo molto nell’approccio inaugurato da Matteo Renzi. Ma anche durante la gestione di Renzi si è manifestato il virus del quale parlavo prima, un’incapacità di avere una comunità inclusiva ma soprattutto l’incapacità del partito di sostenere una leadership democraticamente eletta e le varie posizioni politiche votate all’unanimità negli organismi dirigenti. Questa ritrosia ad essere comunità politica è il nostro principale problema. Quindi inizierei a risolvere questo problema. Poi metterei leadership, piattaforma politica, messaggi, organizzazione e contenuti al servizio dei problemi dell’Italia del 21esimo secolo e non a quelli del 20esimo o del 19esimo.
Il Corriere della Sera ieri sul suo inserto “Sette” dedicava la copertina a Matteo Renzi e si chiedeva se sarebbe tornato. Secondo lei c’è spazio ancora per Renzi?
Intanto inizierà il tour di presentazione del libro. I suoi libri sono sempre interessanti e pieni di spunti. Poi la situazione politica è talmente in evoluzione che vedremo quello che succederà. Ma Renzi ha già dichiarato di non voler essere il leader del Pd altrimenti si sarebbe già ricandidato al congresso.
Quali sono le mosse che un leader del Pd dovrebbe fare per riconquistare l’elettorato eroso da M5S e Lega?
Ripeto, c’è bisogno di una piattaforma politica che da un lato recuperi la radicalità, dove per radicalità intendo proposte politiche per l’Italia di oggi, che riescano a coagulare consenso, su questo forse abbiamo qualcosa da recriminare. Le faccio un esempio, le politiche sulla scuola nonostante riempissero la scuola di soldi non hanno coagulato consenso, occorre chiederci come fare a convincere i cittadini che vogliono davvero cambiare l’Italia a sostenere la nostra piattaforma. E, di nuovo insisto ma per me ha contato l’80% della nostra sconfitta, creare una comunità politica e un gruppo dirigente coeso che porti avanti un disegno riformatore e incisivo che parli e che torni a spiegare le cose alla gente.
È mancato questo al Pd degli ultimi anni?
È un po’ che non lo facciamo più, non facciamo capire come le nostre proposte rispondono ai bisogni delle persone. E tutto questo è possibile, il Pd dispone di un capitale umano del Pd e attorno al Pd davvero enorme, manca la leadership giusta e una coesione tra i gruppi dirigenti capace di dare gambe a questo progetto.
Secondo lei cosa manca alle proposte di leadership in campo: Zingaretti, Martina e Giachetti?
No, non voglio esprimermi. Sono tre persone di valore ma ho deciso di non schierarmi al congresso. Certo le opzioni politiche sono diverse ma giudicheremo il segretario una volta eletto, una volta che avrà composto la segreteria. Questa campagna congressuale è stata un po’ confusa. A volte ho sentito dire che non si sarebbe parlato mai più di accordi con il M5S e poi ho sentito alcune persone molto vicine ai candidati suggerire invece di istituire un dialogo con il M5S. Quindi c’è molta confusione.
Secondo lei con il M5S si dovrebbe aprire canale di dialogo?
Ma assolutamente no, guardi cosa hanno fatto in aula. Lei parlerebbe con chi fa il gesto delle manette? Con un Presidente della Camera che avalla che in Camera si faccia il gesto delle manette?
Con la Lega, invece, si dovrebbe parlare?
L’opzione politica della Lega non è certamente la mia. Io poi sono per coinvolgere tutti se parliamo di riforme istituzionali. In questo Paese non si parla più di riforma della legge elettorale e riforme istituzionali. Ecco su questi temi vanno coinvolti tutti. Per ammodernare il Paese e il meccanismo di funzionamento delle istituzioni bisogna parlare con tutti. Questa carenza di dialogo fu un errore del referendum del 4 dicembre, dopo che Berlusconi si sfilò fu un errore non prenderne atto. Per costruire una piattaforma politica io intendo costruirne una che si opponga ai populismi di Lega e M5S, che sono due facce della stessa medaglia.
In vista delle elezioni europee il Pd in che modo può recuperare lo spirito europeista che l’ha sempre contraddistinto?
Noi lo spirito europeista non l’abbiamo mai perso. Occorre semplicemente coagulare intorno a questa proposta politica per l’Europa una forza un po’ più ampia e di comunicare il messaggio in modo chiaro. Di nuovo occorre ripartire da: leadership, gruppo dirigente, messaggio e organizzazione. Questi sono gli ingredienti di un progetto politico di successo, in questi anni non li abbiamo avuti tutti insieme, spero che possiamo iniziare ad averli adesso.
Ma lei l’ha sottoscritto il manifesto di Carlo Calenda?
Sì, perché mi sono stancato di non sottoscrivere proposte giuste per timore di quello che può succedere dopo. Mi è sembrata un’idea giusta e l’ho sottoscritta. Poi la predisposizione di un’offerta politica non spetta a me perché non sono né sarò il segretario del Pd, né il leader di nessun’altra formazione.
Secondo lei Calenda non sta provando a scalare il Pd in questo modo?
Non credo, Carlo è un compagno di strada, non credo sia un competitor.