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Giuseppe Conte, a scanso di equivoci. Che cosa dà fastidio ai suoi nemici

Niccolò Machiavelli, che era uno che se ne intendeva, diceva che la politica, così come la vita umana in genere, è governata per metà dalla fortuna e per metà dalla virtù. Ove per fortuna non è da intendere qualcosa di casuale, ma più a fondo la capacità di saper approfittare dell’occasione che può capitarci. Non c’è dubbio che la fortuna (forse lui direbbe Padre Pio) ha molto cooperato a favore del nostro premier. Che egli tuttavia stia interpretando nel migliore dei modi possibili il ruolo che la storia gli ha assegnato, mi sembra altrettanto indubitabile.

E, lungi dall’essere un “burattino”, la sua figura poco alla volta si sta delineando come quella di colui che, con le mille imperfezioni e contraddizioni della storia (che non ha mai seguito una via dritta), sta traghettando il nostro Paese verso un sostanzioso cambio di classe dirigente. Che è poi, a mio avviso, quel che rimane di concreto in mezzo a tanto fragore e a tanta confusione. Oggi Giuseppe Conte può dire a Claudio Tito, nell’interessante colloquio che Repubblica ha fatto uscire stamattina, che il vero leader del governo è lui e non i due suoi vice. Parole che non sono da leggere come uno scatto di orgoglio, ma sono motivate col fatto che egli rappresenta, come dice, “l’unità e l’azione dell’esecutivo”. Che è onestamente parlando impresa quasi improba, e che pur gli sta riuscendo. Che lo sia improba è nella natura stessa di un esecutivo che, per non tradire il voto degli italiani, ha dovuto mettere insieme idee, progetti, politiche, non solo diverse ma a volte persino opposte. Quasi un miracolo. (E qui forse c’entra ancora Padre Pio).

Nell’intervista, Conte, senza i modi diretti e a volte bruschi dei suoi comprimari, dà poi l’interpretazione più autentica degli inconsulti e bipartisan attacchi (e insulti) ricevuti a Strasburgo: “Chi parlava – dice – apparteneva alle vecchie famiglie politiche e quindi si scagliava contro il vento nuovo”. E qui è individuata l’essenza, che sfugge ahimè a molti commentatori e analisti, della “lotta politica oggi in Italia”, come direbbe un Piero Gobetti. E forse non solo in Italia, se è vero che la reazione politica degli eurocrati è tutta da leggere, come Conte stesso dice, nel contesto di una crisi senza precedenti (e plausibilmente di non ritorno) dell’Unione e in quello delle prossime elezioni europee del 26 maggio. Una crisi che dovrà non affossare, ma “rilanciare su altre basi”, dice il nostro presidente del Consiglio, la “casa comune” (quindi nessuna Italexit all’orizzonte). “Io rappresento il nuovo e non il vecchio”, afferma ancora una volta, a scanso di equivoci. Il fatto che lo rappresenti con una postura e una stimmung diversa rispetto agli altri leader, e che si mostri consapevole del fatto che il vero cambiamento è nel non cedere sulla barra ma essere in grado di una costante opera di mediazione, è forse ciò che ai suoi nemici dà più fastidio.

Il vero handicap di Conte è che non ha i voti, e in uno scenario totus politicus come quello che si sta ora finalmente ripresentando, non è difetto da poco. Credo che lo sappia lui e lo sappiano anche gli alleati, che un po’ lo tengono in scacco. Egli è nell’agone, e per ora questo è importante. La politica è un gioco a incastri, ed è del tutto imprevedibile. Quel che sarà, lo sapremo solo domani.


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