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La cyber-security nella spesa per la Difesa. La proposta del ministro Trenta alla Nato

Tenere conto delle spese dedicate alla cyber-security e alla protezione delle infrastrutture critiche nel computo del fatidico 2% del Pil destinato alla Difesa. È la proposta che il ministro Elisabetta Trenta porterà nei prossimi giorni a Bruxelles di fronte ai colleghi dell’Alleanza Atlantica, spiegata oggi in un’intervista al Financial Times. L’obiettivo è chiaro, e cioè far salire la percentuale italiana da quell’imbarazzante 1,15% che è ben lontano dai target a cui il Paese si è impegnato dal 2014. D’altra parte, la stessa proposta era già stata presentata dall’Italia durante il summit dei capi di Stato e di governo dello scorso luglio, registrando poca possibilità di discussione visto il clamore che fecero le nuove strigliate di Donald Trump agli alleati proprio sul tema della spesa.

LE PAROLE DELLA TRENTA

Si tratta di includere nel conteggio della spesa per la difesa “anche gli investimenti non militari destinati alla sicurezza civile”, ha rimarcato la titolare di palazzo Baracchini al quotidiano britannico. Difatti, ha aggiunto il ministro, “vi sono parti della nostra spesa che sono correlate alla difesa, ma che non sono incluse nel bilancio della difesa”. Tra queste, soprattutto “gli investimenti nella sicurezza cibernetica”. In effetti, ha notato ancora la Trenta, “le spese per sviluppare difese di cyber-sicurezza dovrebbero essere conteggiate allo stesso modo delle spese per acquistare carri armati”. E per chi ritiene che tutto questo sia una scusa per spendere di meno, ecco la rassicurazione del ministro: “Non sto dicendo che non dovremmo investire denaro, ma che dovremmo farlo per cose che in passato non erano considerate come spese di difesa”.

GLI IMPEGNI NATO

Il riferimento è agli obiettivi definiti nel summit in Galles del 2014, su cui tutti i membri si sono impegnati. Si prevede di destinare entro il 2024 il 2% del Pil alla Difesa, e il 20% di questo ai “maggiori equipaggiamenti”, e cioè ai programmi di sviluppo di capacità. Sul secondo obiettivo l’Italia rispetta da tempo la soglia Nato, ma sul primo è ben lontana dall’obiettivo. Nel report dello scorso anno del segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg, si leggeva come l’Italia rappresentasse il 5,1% del Pil complessivo dei Paesi membri, coprendo però il 2,4% della spesa totale per la difesa. Con 20,787 miliardi di euro (in aumento rispetto ai 20,226 del 2016) l’Italia, secondo il report, destinava nel 2017 l’1,12% del proprio Pil alla difesa. Ci sarebbe tempo fino al 2024 per rimettersi in carreggiata, ma i presupposti al momento sembrano mancare.

TRA WELFARE E FRONTE SUD

L’Italia non aumenterà infatti la sua spesa per la difesa nel 2019, visto il “mezzo miliardo” di tagli annunciati a più riprese nell’ambito della Legge di bilancio. “Non credo che ci sia una gerarchia tra spese militari e di welfare”, ha evidenziato la Trenta al Financial Times. Eppure, “in questo momento, con il problema della disoccupazione e della crescita molto bassa in Italia, è necessario spingere con maggiore decisione la ripartenza dell’economia”. Però, ha aggiunto, “stiamo parlando di questo momento; il prossimo anno potrebbe essere molto differente”. Rassicurazioni necessarie, anche perché l’Italia chiede da tempo alla Nato di riorientare la propria proiezione in modo da tenere conto anche delle minacce che vengono da sud. La credibilità acquisita negli anni all’interno dell’Alleanza Atlantica, soprattutto grazie al contributo alle missioni internazionali, ci ha permesso di far sentire la nostra voce sul tema, ottenendo proprio lo scorso luglio l’avvio dell’operatività dell’Hub per il sud di Napoli, ideato per comprendere meglio le sfide del fianco meridionale. Ora, è importante che tale attitudine non si perda. “Credo – ha spiegato la Trenta – che ci dovrebbe essere una responsabilità di tutti i membri della Nato ad avere una prospettiva a 360 gradi; occorre dare la stessa attenzione (rivolta al fronte est, ndr) anche al confine meridionale dell’Europa”.

I TEMI DELLA MINISTERIALE

In ogni caso, l’agenda della ministeriale di prossimo mercoledì e giovedì prossimi dovrebbe in realtà essere orientata su altri dossier. Non mancherà di sicuro la nuova richiesta Usa per un maggior impegno sul fronte della spesa, tema particolarmente caro al presidente Trump tanto da aver espresso a più riprese (secondo il New York Times) l’intenzione di uscire dall’Alleanza per l’insoddisfazione sul comportamento di molti Paesi europei sul budget. Poi, una particolare attenzione sarà rivolta ancora una volta al trattato sui missili Inf, da cui gli Stati Uniti sono usciti pochi giorni fa con il termine dell’ultimatum rivolto alla Russia, colpevole di aver violato l’accordo. Nonostante la natura bilaterale del trattato, da diverso tempo la diplomazia americana è riuscita a inserire il dossier nell’agenda dell’Alleanza Atlantica, divenuta strenua sostenitrice della causa Usa. Si prevede poi un punto anche sulla questione ucraina, su cui le distanze con Mosca sono sembrate rimanere invariate anche nel recente incontro del Consiglio Nato-Russia.

TRA SKOPJE E LONDRA

Infine, non mancherà un riferimento alla politica di allargamento (altro tema odioso per i russi). La scorsa settimana, i rappresentanti permanenti dei 29 Stati membri hanno siglato il protocollo di accesso della Repubblica della Macedonia del Nord, fresca di accordo con Atene e di via libera parlamentare sul cambio del nome, finalizzato proprio all’ingresso nell’Alleanza Atlantica. Il tutto servirà a preparare la strada per il summit dei capi di Stato e di governo del prossimo dicembre a Londra, dove ebbe sede il primo quartier generale della Nato e dove verrà dunque festeggiato al massimo livello il 70esimo anniversario dell’Alleanza.

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