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Luigi Di Maio e il nuovo corso di M5S. Da Movimento a (quasi) partito

Non c’è dubbio che i Cinque Stelle abbiano apportato una novità nel panorama politico italiano: sia in termini di ricambio di classi dirigenti, sia nel modo di fare politica, o meglio di provarla a fare. Credo infatti che la loro particolarità sia consistita nel non aver avuto timore di sottoporsi alle prove di governo pur non avendo quella organizzazione e quella coesione interna che sono comunque necessarie a ogni gruppo di potere.

Una vera e propria sfida, direi persino contro le regole della gravità, che poteva finire in due soli modi: o con l’implosione del Movimento, o con una sua graduale istituzionalizzazione. Sembrerebbe, da quel che si legge oggi sui giornali a proposito dell’incontro romano fra i tre big del Movimento, avvenuto ieri a pranzo all’Hotel Forum, che Luigi Di Maio stia imboccando decisamente la strada che evita l’implosione, puntando su un’organizzazione più strutturata. La via dell’organizzazione del Movimento si rende quanto mai necessaria nel momento in cui si voglia competere con successo con le altre forze politiche sui territori: da qui la necessità di individuare responsabili regionali. Individuare poi, accanto a loro, dei responsabili nazionali per tematiche, è sicuramente un altro passo verso la strutturazione, ma è anche, a mio avviso, un’arma a doppio taglio. Se, da una parte, infatti, risponde alle logiche originarie del Movimento, che agisce per tematiche e non per ideologie (anche se le stesse tematiche a volte per il modo in cui sono assunte assumono un vago sapore ideologico); dall’altra, il problema resta sempre quello della necessità di una sintesi politica vera, che non sia una mera sommatoria delle varie istanze. Sarà Di Maio in grado, o sarà messo in grado, di assumersene la responsabilità?

Qui il problema sono gli altri due depositari delle chiavi di comando del Movimento: Davide Casaleggio e Beppe Grillo. Il primo insiste sulla necessità di mettere sempre più al centro delle decisioni la piattaforma Rousseau, e quindi la “democrazia diretta”, mito originario o fondativo per antonomasia; il secondo si è riservato un ruolo di “battitore libero” di cui si serve, da un lato, per richiamare gli scenari futuri della politica, e direi del mondo e dell’umanità, e dall’altra per proporre il recupero dell’animus antisistema dei primi tempi. Questa triarchia, poiché si fa portatrice di tre direttrici di azione non facilmente amalgamabili, complica non poco i piani a Di Maio, e forse allo stesso Movimento, da un punto di vista meramente politico.

La quadratura del cerchio è davvero molto difficile, anche se sembra che dall’incontro di ieri Di Maio abbia avuto una sorta di nulla osta sul tentativo di organizzazione del Movimento in un (quasi) partito. Le variabili però sono davvero tante per fare pronostici attendibili sul futuro. La forza di maggioranza relativa continua a navigare a vista, e il sistema politico tutto ancora non trova un suo auspicabile equilibrio. Una cosa però si può dire con quasi certezza: chi pensa che si possa gradualmente tornare ai vecchi equilibri, o fare a meno di chi ha votato per questo “strano animale” che sono i Cinque Stelle, si sbaglia di grosso.


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