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La Difesa serve e fa bene al Paese. Il punto del sottosegretario Tofalo

Di Angelo Tofalo

In questi mesi, per il ruolo che ricopro all’interno del governo, ho potuto osservare da vicino le logiche che muovono l’industria nazionale nella ricerca di nuove tecnologie che hanno una valenza civile, militare o duale. C’è da dire, in primo luogo, che gran parte delle innovazioni tecnologiche che sono riuscite a stimolare cambiamenti epocali nella società, nel bene e ahimè anche nel male, provengono dalla ricerca scientifica applicata a programmi militari. Quando però si parla di tecnologie di difesa spesso troppo semplicemente si tende a pensare che l’argomento sia facilmente liquidabile esclusivamente con giudizi etico-morali su armamenti vari, lasciando fuori dalla discussione la stragrande maggioranza delle innovazioni che costituiscono il bagaglio culturale dell’ecosistema industriale nazionale.

Se vogliamo superare questa semplificazione ideologica nella discussione sulla ricerca, dovremmo essere capaci di condividere con tutti i cittadini un maggior numero di esempi pratici delle ricadute che anche la ricerca militare ha sul settore civile. Investire in materiali e tessuti ignifughi, ad esempio, può rendere nell’immediato più sicuro il lavoro dei nostri uomini impegnati in missioni nazionali e internazionali ma, in un futuro molto vicino, ridurre le vulnerabilità dei lavoratori di un’azienda di produzione civile. Sviluppare (oggi) un vetro blindato e che non si frantumi facendo partire mille schegge può garantire la protezione di un mezzo militare impegnato in operazioni di supporto alla sicurezza delle nostre strade, ma anche essere (domani) lo strumento per evitare che la vetrina di un negozio venga violata o lo standard minimo per garantire maggiore sicurezza per un’autovettura civile. Una tecnologia che viene realizzata per difendersi da alcune minacce tipiche delle armi biologiche può diventare uno strumento per migliorare le procedure mediche che offre il comparto sanitario nazionale o da poter applicare all’agricoltura.

In quest’ottica, i confini tra le competenze della pubblica amministrazione e degli organi dello Stato nello sviluppo delle più svariate tecnologie sono sempre meno definiti e, se si vuole realmente valorizzare e difendere chi si cimenta nella realizzazione di un prodotto che possa rendere più sicuro un processo, un luogo o l’azione di una persona, è necessario mettere in campo soluzioni di sistema. Difesa, Mise, Miur e Lavoro sono i ministeri che, per diversi aspetti, hanno maggiore competenza nello sviluppo di nuovi modelli che possano favorire il percorso di innovazione, dall’idea progettuale alla realizzazione, dalla protopizzazione alla ricerca di finanziamenti, dalla commercializzazione all’internazionalizzazione. È questo uno dei motivi per cui ho voluto realizzare un tavolo di ragionamento interdisciplinare e interministeriale, Italian Open Lab, per consentire a chi si occupa di innovazione di mettere sul tavolo criticità e punti di forza di percorsi che, in un mondo che viaggia velocissimo, devono essere valorizzati e protetti.

Sono certo che rendendo patrimonio collettivo degli italiani una serie di informazioni sui processi che regolano la possibilità per innovatori, studenti, ricercatori, professori, aziende e industrie di accedere a reti di supporto alle loro idee, sarà più facile per la politica comunicare e trovare consenso su scelte strategiche di lungo respiro.
Le fiere internazionali a cui sto partecipando mi stanno aiutando a capire che c’è terreno fertile per costruire gli strumenti utili ad aiutare le nostre aziende a cooperare maggiormente. Il governo ha il dovere di censire in modo più serio le nostre capacità attraverso reti tematiche che favoriscano azioni sistemiche e si propongano anche all’estero con più forza. Per costruire un sistema-Paese solido, cittadini, aziende e pubblica amministrazione devono diventare un nodo consapevole e muoversi in simbiosi nell’affrontare le sfide globali. Per questo sto già lavorando a una prima grande fiera diffusa tutta italiana, da fare magari nel 2020, relativa l’industria della Difesa. Milano, Bologna, Salerno, Bari, Potenza, Palermo, potrebbero essere le location adatte.

Una fiera dove per la prima volta sarà centrale anche l’industria del settore cibernetico: società digitale, cittadinanza digitale, diritti digitali, software, piattaforme civili e militari di gestione dei processi saranno protagonisti con tutte le aziende italiane del settore e proveremo velocemente ad attrarre anche le maggiori aziende straniere.

Termina così Idex 2019, ringrazio l’ambasciatore Liborio Stellino per avermi accompagnato in queste delicate giornate di lavoro dove ho incontrato le più alte cariche emiratine. Abu Dhabi ha visto poi la presenza del nostro capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli, qui conosciuto e stimato da tutti per anni di grandi impegni al servizio del nostro Paese. Con lui, il generale Francesco Presicce. Importante anche la visita del segretario generale della Difesa, il generale Nicolò Falsaperna, della presenza di Aiad e di decine di aziende italiane. Mi dispiace molto non essere riuscito ad andare a far vista ai ragazzi dell’Aeronautica militare alla base di Al Minhad che fanno parte della Task Force Air, al comando del colonnello Maurizio Epifani. Sento forte il bisogno di esprimere l’apprezzamento del governo, del ministero della Difesa e del Paese per l’importante lavoro che portano avanti ogni giorno al servizio delle istituzioni.

È stata per me la prima volta negli Emirati Arabi Uniti e nei dialoghi con le massime autorità emiratine ci siamo soffermati in particolare sull’intento comune di fermare gli estremismi e di contrastare il terrorismo internazionale. Oggi che torno da Abu Dhabi, rifletto anche sulla recente visita di Papa Francesco, della sua scelta di voler andare lì a tutti i costi e soprattutto del coraggio e dello sforzo di questo Paese ad aprire le porte al dialogo culturale e religioso.

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