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Come i distretti industriali sono sopravvissuti (rafforzandosi) alla crisi economica

Di Renato Ugo

I distretti industriali sono un insieme di imprese piccole-medie, caratterizzati dall’appartenenza in gran parte allo stesso settore di attività industriale ed economica, che costituiscono una entità socio-territoriale.

Dal nono censimento generale del 2011 dell’industria e dei servizi, l’Istat aveva identificato, nel 2015, 141 distretti industriali, per la maggior parte localizzati del Nord-Est, Nord-Ovest e Centro del Paese. Solo 17 erano localizzati nel Sud del Paese, limitatamente alla fascia Sud della costiera Adriatica (Puglia e Abruzzo) e alla Campania.

Per quanto riguarda le isole, di fatto la presenza era limitata alla Sardegna. In Italia più del 90% dei distretti opera nel settore manifatturiero assorbendo circa il 65% dell’occupazione dei sistemi manifatturieri locali. Nei distretti industriali della Lombardia, Veneto, ma anche della Toscana, Emilia-Romagna e Marche è localizzata gran parte (88%) dell’occupazione manifatturiera del sistema distrettuale italiano.

Nei vari distretti industriali, insieme a medie imprese principali, molte altre imprese più piccole o anche microimprese costituiscono un aggregato complementare (dal lato occupazione) o ausiliario (dal lato produzione) specializzato su prodotti o su parti dei prodotti tipici del distretto o anche su fasi del loro processo produttivo. Di conseguenza la struttura del distretto industriale risulta essere teoricamente debole a causa di questa frammentazione e della possibilità di dimensioni quasi subcritiche di gran parte delle aziende.

Tuttavia, la forte aggregazione territoriale supplisce in parte a questa frammentazione, che non implica che, particolarmente in territori pesantemente industrializzati, una o più imprese medie possano nel tempo crescere all’interno del distretto stesso generando una modifica “fuori scala” a seguito di un suo consolidamento dimensionale. In questo caso si può arrivare a una modifica di “scala” verso il “cripto-distretto” dove a strutture industriali portanti medio-grandi a prevalenza manifatturiera, si associa una diffusa (più del 50% dell’occupazione) presenza di piccole e microimprese operanti nel settore industriale-economico tipico del distretto.

In Italia nel 2011 l’Istat aveva già identificato 28 “cripto distretti”, ben 12 dei quali localizzati in Piemonte, regione con solo 7 distretti industriali. Invece nel Veneto erano stati individuati solo due “cripto distretti” rispetto a un totale di circa 28 distretti industriali. Queste differenze nascono dalle caratteristiche storiche del territorio. Nel Veneto l’insieme dei distretti industriali nasce ab initio da un territorio largamente agricolo, mentre in Piemonte i “cripto distretti” nascono a partire da preesistenti strutture industriali di grandi imprese che ne definiscono la specializzazione industriale-economica.

L’insieme di distretti e di “cripto distretti” è oggi una delle colonne portanti dell’economia italiana, poiché costituisce circa un terzo del sistema produttivo del Paese (in particolare quello manifatturiero), e ne rappresenta più di un terzo dell’occupazione. Inoltre, malgrado la sua frammentazione, è risultato resiliente. Dal 2001 al 2011, anche a causa della crisi economica-finanziaria iniziata nel 2008, il numero dei distretti si è contratto da 181 a 141, ma nel suo insieme il sistema distrettuale ha mantenuto invariato il numero totale di addetti (circa 4,9 milioni), grazie a una incrementata estensione sociodemografica e una più solida struttura economica-finanziaria dei singoli distretti “sopravvissuti” alla crisi.

Ciò ha permesso di mantenere il suo peso specifico nell’economia italiana, in termine di addetti e non solo. Inoltre, il sistema distrettuale italiano ha mostrato una inattesa capacità di rapidissimo recupero, poichè il suo fatturato, secondo l’ultimo rapporto annuale di Intesa San Paolo sull’economia e finanza dei distretti industriali, è ritornato nel suo insieme a crescere toccando nel 2016 un valore del 10,2% superiore rispetto a quello del 2008, con una ulteriore crescita abbastanza diffusa nel 2017 intorno al 2,5-3%.

Nello stesso tempo il numero dei distretti è tornato ad aumentare passando nel 2016 a 153 distretti rispetto ai 141 del 2011. Nel periodo 2014-2016 vi sono state punte di crescita del fatturato molto rilevanti di alcuni specifici settori distrettuali di eccellenza (per esempio 25,7% nell’agro-alimentare, 39% nell’occhialeria, 28% nella concia). Anche l’importante settore delle piastrelle è tornato ai livelli del 2008 dopo una pesante contrazione e ristrutturazione a seguito degli effetti della crisi. Un recupero e rilancio così rapido può sembrare inatteso poiché il sistema distrettuale italiano è ancora oggi largamente concentrato nel made in Italy (più del 90% dei distretti) dove, fatta eccezione di parte della meccanica, i vari settori non sono caratterizzati fino a oggi da un significativo contenuto high-tech.

Malgrado ciò, la particolare dinamicità del sistema distrettuale nel suo insieme è stata confermata dall’evidenza che in Italia a fronte di una crescita nel periodo 2008-2016 del suo fatturato globale del 10,2%, nello stesso periodo il fatturato nelle aree non distrettuali è cresciuto solo del 5,9% a parità dei settori produttivi presi in considerazione. Una dinamicità da attribuirsi in particolare a importanti guadagni di produttività del lavoro delle imprese distrettuali, cresciuta significativamente nel suo insieme (da 50 a 53,7%) rispetto alle corrispondenti imprese non distrettuali, rimaste a un valore costante intorno al 49,5-49,9%.

Questa resilienza e pronta reazione rispetto alla crisi hanno permesso di restituire al Paese un diffuso tessuto produttivo più forte e competitivo, una inattesa performance dovuta a fattori territoriali, strutturali e in parte anche culturali, come, in primo luogo, la crescita nell’ultimo decennio della capacità di servire mercati esteri sempre più lontani, operando anche con filiali o siti produttivi locali.

Altri fattori di crescita sono la sempre maggiore eccellenza della qualità dei prodotti e della competitività produttiva di alcune delle filiere più rilevanti come l’agro-alimentare e la meccanica e la più elevata capacità della meccanica di fornire macchinari 4.0 interconnessi, partendo da competenze produttive meccatroniche e robotizzate, sviluppate con successo già dall’inizio di questo secolo.

Fondamentali sono stati, inoltre: il sostegno tecnologico da parte di poli ICT localizzati in prossimità di importanti territori distrettuali della meccanica (in particolare Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, etc.); l’incremento della brevettazione in ambito europeo e non solo e della politica di deposito di marchi internazionali e dell’ottenimento di certificazioni di qualità; la crescente presenza di imprese giovanili, particolarmente nel sud Italia, dinamiche e fonte di un ricambio generazionale con aumentate competenze nelle più nuove tecnologie ICT.

Infine, nel caso della meccanica a questi fattori occorre aggiungere il ruolo-chiave dell’innovazione tecnologica, poiché la performance della meccanica distrettuale italiana, a fronte del difficile contesto competitivo internazionale, è in gran parte dovuta negli ultimi dieci anni alla sua capacità di crescere tecnologicamente offrendo, specialmente da parte di aziende sufficientemente grandi (più di 25 milioni di fatturato), soluzioni produttive tecnologicamente innovative, grazie ad una rinnovata offerta di macchinari 4.0 intelligenti, atti a essere interconnessi operando con l’approccio IoT (Internet of Things).



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