Secondo l’ultimo report di CB Insights, “2019 fintech trends to watch”, il 2018 è stato un anno molto positivo per il fintech con oltre 39,57 miliardi di dollari (+120% sull’anno precedente), distribuiti su 1.700 contratti e 1.463 startup a livello globale, e con oltre 50 investimenti superiori ai 100 milioni di dollari di valore. I risultati del 2018 suggeriscono che il fintech continuerà la sua ascesa. Gli Stati Uniti risultano il mercato principale con 659 investimenti per un valore di 11,89 miliardi di dollari, nuovo massimo annuale, nonostante la crescita esponenziale dell’Asia (+38%). Il rapporto si concentra su 10 tendenze globali del fintech da tenere d’occhio nel 2019, tra cui la blockchain, la finanza ad impatto, l’e-commerce, il Real estate e gli aspetti regolamentari. Ne abbiamo analizzati tre insieme a Niccolò Invidia, deputato del M5S e componente dell’Intergruppo Innovazione, ovvero l’aspetto regolatorio, la democratizzazione degli investimenti e l’impatto sociale della finanza.
Il report mostra come i regolatori, a livello globale, sulla spinta dell’innovazione, hanno abbassato le barriere di accesso al mercato per le start-up tech come strumento per promuovere la concorrenza. Lei ritiene essenziale per favorire l’ecosistema fintech continuare a mantenere un rapporto virtuoso con il legislatore?
È vitale che il legislatore abbia un buon rapporto con il settore, anche perché non si può fermare l’acqua con le mani. Per fortuna la politica è sempre sensibile ai mega trend e anche il fintech non è decisamente passato inosservato, sia in Ue sia in Italia. L’attenzione che il Parlamento italiano ha verso il settore non è mai stata così alta. Ad esempio, sulla fiscalità delle startup fintech l’approccio di forte competizione fiscale ritengo sia quello giusto. Il Parlamento sta lavorando ed è aperto a suggerimenti dalle startup fintech per facilitarne la diffusione in ogni settore, dal P2P lending all’insurtech, dall’accesso al venture capital all’accesso dei talenti al settore (si veda l’aspetto del gap formativo).
Il rapporto mostra come il Fintech stia democratizzando gli investimenti. Nuovi modelli di investimento saranno creati per aprire i mercati, democratizzare i pagamenti a livello globale ed abilitare l’economia digitale. Lei cosa ne pensa?
Come sempre succede nell’innovazione, anche il fintech porta con sé al tempo stesso opportunità e problemi. Da una parte la democratizzazione dei servizi e dall’altra, paradossalmente, la mancata diffusione, la mancata capillarità di tecnologie o modelli di business nuovi. Il risultato finale è che il potenziale disruptive non si esprime mai pienamente e il cambio di paradigma è spesso più lento del previsto. Con la crescente democratizzazione del settore la customer experience sarà sempre di più l’ago della bilancia del successo: la relazione umana continua a essere importante e, per ora, imprescindibile anche nel settore fintech.
Alipay e WeChat Pay stanno guidando la transizione della Cina verso un’economia senza contanti. In Italia qual è la situazione?
A parte i casi più famosi in Italia come Satispay, esistono altre realtà interessanti come Spotcap che facilita l’accesso al credito alle Pmi o TransferWise che permette di trasferire somme di denaro a livello internazionale con tassi di commissione estremamente bassi. Molte di queste aziende devono spostare lo sguardo sempre di più dal consumatore alle piccole e medie imprese. Nello scorso decennio, negli Usa come in Italia, troppe Pmi sono rimaste senza l’opportunità di accedere al capitale necessario per far crescere la loro azienda. Il fintech potrebbe orientarsi verso l’offerta di nuovi prodotti finanziari alle Pmi, a favore nel complesso del sistema Paese.
Nel report viene indicato come sia cresciuta l’attenzione verso la sostenibilità degli investimenti e come la volatilità del mercato potrebbe generare maggiori afflussi in tal senso, posizionando le startup fintech di impatto. Lei è d’accordo?
Condivido che la necessità di diversificare sta rendendo gli Esg (enviroment, social, governance) attrattivi e comportano nuove filosofie nella costruzione del portafoglio di investimento. In generale, questa maggioranza sta prestando molta attenzione a codificare l’etica nel business, cercando una crasi tra onlus e business. Un esempio è Lemonade, la app che ha creato un nuovo modello di business per l’assicurazione basato sull’economia comportamentale e la tecnologia (il bene sociale è qui un aspetto del modello di business, in cui i profitti delle sottoscrizioni vanno alle organizzazioni non profit a scelta dei clienti, nel “Giveback ” annuale della società ).
I Millennials sono più propensi a fare investimenti sostenibili rispetto all’investitore medio.
Il trend è chiaro: il comune denominatore dell’ethos dei millennials è la volontà di avere un impatto, in qualsiasi settore. Oltre alla consumer-friendliness, la mission dei millennials entrepreneurs è ben visibile nel connubio fintech e finanza sostenibile; penso a esperimenti come Impak Finance e a Ant Financial. Il fintech è sempre di più la spina dorsale attraverso cui finanziare progetti che altrimenti non avrebbero spazio: FT4SD, Fintech 4 Sustainable Development, dal p2p lending nei Paesi in via di sviluppo ai green bond. L’Onu è la punta di diamante istituzionale, in prima linea nel promuovere questo nuovo settore nei PVS; si pensi, ad esempio, alla Task Force on digital financing of sustainable development goals o all’attenzione data dall’Unep. Questo dimostra come la cooperazione 4.0 sia sempre più vitale nei PVvs e il fintech giocherà un ruolo chiave nel loro sviluppo. Il potenziale è immenso per tutti gli attori in gioco.