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Codice appalti, l’attesa (infinita) della riforma. Parla Buia (Ance)

600.000 posti di lavoro andati in fumo dall’inizio della crisi economica e ben 120.000 aziende che sono state costrette a chiudere i battenti. I numeri dell’edilizia raccontano meglio di qualsiasi parola il terremoto che il settore ha vissuto negli ultimi anni: un tunnel interminabile dal quale non si riesce ancora a vedere in fondo la luce. Anzi, se possibile, ultimamente le cose sono andate pure peggiorando, per via degli effetti del codice degli appalti del 2016 e anche, ovviamente, a causa della crescita che è andata sparendo negli ultimi mesi. Eppure, nonostante questi dati pesantissimi, il comparto pesa ancora l’8% del prodotto interno lordo da solo e, complessivamente, più del 22%, se si considerano anche la filiera e le attività immobiliari. Un settore potenzialmente in grado di dare un contributo aggiuntivo annuo al Pil pari allo 0,5% il cui motore però è ancora completamente ingolfato. “È miope il politico che non si rende conto degli effetti positivi di sistema che i costruttori possono generare con il loro lavoro”, ha affermato in questa conversazione con Formiche.net il presidente di Ance Gabriele Buia per il quale la priorità rimane il rapido varo di una colossale opera di semplificazione della pubblica amministrazione e delle procedure, a partire dalla riforma del codice degli appalti. Che dal governo hanno promesso a più riprese di approvare in tempi rapidissimi, salvo poi rimandare di volta in volta questo intervento legislativo ritenuto fondamentale.

Presidente Buia, in questo momento di grave difficoltà per la categoria che rappresenta cosa si sente dire innanzitutto a politica e istituzioni?

Dico che ci sentiamo abbandonati. Non c’è più tempo: non possiamo e non vogliamo più aspettare. Ci siamo stancati delle promesse.

Immagino si riferisca soprattutto alla riforma del codice degli appalti che invocate da tempo. Non sono sufficienti le garanzie del governo che ha più volte confermato di voler intervenire sul tema?

Sono solo dichiarazioni, nulla di più. E’ vero che i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte hanno garantito la riforma del codice ma noi attendiamo con urgenza notizie in merito. Anche perché è una questione da affrontare immediatamente, visto che si tratta peraltro di uno strumento fondamentale per rilanciare l’economia italiana.

E della strada scelta dal governo per la riforma – disegno di legge delega e successivo decreto legislativo – cosa ne pensa? Non sembra si concili benissimo con la vostra richiesta di fare in fretta…

Onestamente mi pare troppo lunga per rispondere rapidamente alle esigenze del Paese. Per questo il mondo delle costruzioni, di cui Ance fa parte, si è mobilitato: non possiamo più aspettare. Chiediamo che si proceda subito con un decreto legge che introduca almeno i provvedimenti principali. Gli operatori e le pubbliche amministrazioni hanno bisogno di uno strumento snello fatto di poche regole chiare e dettagliate.

Qual è la vostra priorità in questo senso?

Che si rimetta l’impresa al centro. E per riuscirci occorre semplificare il più possibile la pubblica amministrazione e le procedure. Dobbiamo eliminare quella selva di previsioni burocratiche che bloccano l’utilizzo delle risorse. Basti pensare che vi sono 35 miliardi di euro stanziati con la legge di Bilancio del 2017 da qui al 2033 che per quanto riguarda le competenze del 2018 e del 2019 richiedono ancora i decreti attuativi per i quali sarà necessario tutto quest’anno.

Concretamente che cosa si potrebbe fare?

Bisogna snellire il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ed evitare che vi sia questo interminabile scambio di provvedimenti con la Corte dei Conti per ogni minima variazione. E poi dobbiamo ridiscutere il reato di abuso d’ufficio e la disciplina relativa al danno erariale: questo codice e tutta la normativa precedente hanno creato un mostro. Il pubblico funzionario oggi per lo stipendio che percepisce si trova a gestire una mole enorme di responsabilità e alla fine è quasi inevitabile che tutto si blocchi: in pratica, nessuno firma più niente.

Cos’altro?

Dobbiamo intervenire sulle competenze dei vari ministeri: abbiamo scoperto che vi sono pratiche che hanno impiegato nove mesi per passare da un ministero all’altro. Un’autentica vergogna di cui non vogliamo più essere complici. Le persone devono sapere che le scuole non si mettono a posto perché le risorse non arrivano, che le strade non si fanno perché i fondi non vengono stanziati, come abbiamo denunciato nel sito sbloccantieri.it. Vogliamo far capire ai cittadini che l’inerzia non dipende da noi ma dallo Stato.

Senta però ci sono anche voci contrarie o, comunque, fortemente tiepide verso la riforma del codice. Mi riferisco ad esempio al presidente Anac Raffaele Cantone. Cosa ne pensa?

Ho molto rispetto per lo sforzo profuso dal presidente Cantone in  questi anni, ma noi riteniamo che l’Anac si debba occupare di controlli e non di regolazione di mercato. E poi questo codice, diciamolo in modo netto, è stato applicato poco e male. Ci sarebbero pure state misure interessanti che però non hanno trovato definizione: penso alla qualificazione delle stazioni appaltanti o all’albo dei commissari di gara. Di fatto l’ammissione da parte dello stesso Stato stesso che questo codice non funziona. Con la conseguenza di andare quasi sempre in deroga rispetto alle regole contenute nella normativa.

Presidente, in conclusione le chiedo se la preoccupa il clima che si respira in Italia sul tema delle grandi opere pubbliche e delle infrastrutture? La vicenda Tav sembra piuttosto esemplificativa

Mi preoccupa perché mi pare si faccia finta di non capire che le infrastrutture significano crescita e sviluppo. Penso a tal proposito al Sud Italia: senza opere pubbliche adeguate nessun’azienda andrà a mettere le basi in quell’area geografica e quelle che già ci sono devono fare i conti con difficoltà pesantissime. Dall’altra parte invece, al Centro-Nord, c’è l’Alta Velocità, con la quale abbiamo abbattuto le distanze fisiche e geografiche. Per dire che le infrastrutture possono davvero fare la differenza, per migliorare la qualità della vita delle persone e condurre l’Italia nel futuro. E non intendo solo la viabilità, ma anche le scuole, gli ospedali, le infrastrutture digitali.

Però dal governo c’è chi dice che invece delle grandi opere servirebbe soprattutto un piano di manutenzione del Paese. Come risponde?

Nel modo più semplice: che le grandi opere non escludono, ma al contrario richiedono, un processo di manutenzione ordinaria e straordinaria del costruito. Si tratta di una contrapposizione solo ideologica che nei fatti però non esiste.

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