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Anche all’Italia fanno gola le risorse del Venezuela. Il caso del coltan

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Luciano Vasapollo, professore dell’Università di Roma La Sapienza, con delega del rettore alle Relazioni Internazionali con l’America Latina, ha lanciato un appello a Federica Mogherini, Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, affinché rispetti l’autodeterminazione e la sovranità del Venezuela.

In un’intervista pubblicata su L’Antidiplomatico, Vasapollo ha detto che il vero obiettivo degli Stati Uniti nella gestione della crisi venezuelana è impadronirsi del petrolio venezuelano. Una tesi ripetuta anche dal leader del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista, che confronta il Venezuela con la Libia.

Ma non solo. Vasapollo sottolinea che c’è di più: “Il Venezuela ha le riserve di petrolio più grandi al mondo superiori a quelle dell’Arabia Saudita, ma nel Paese c’è oro, coltan, gas e tutto quello che fa gola all’imperialismo nord-americano”.

Dimentica il professore che le risorse naturali del Venezuela sono commercializzate anche da altri Paesi, non solo gli Stati Uniti.

A maggio, il governo di Nicolás Maduro ha annunciato la prima esportazione di coltan dallo stato Nueva Esparta all’Italia. Il socialista spiegò che si trattava di un’operazione di circa cinque tonnellate dell’oro blu (metallo fondamentale nella fabbricazione di apparecchi elettronici, aereospaziale e armamenti) per rafforzare i legami commerciali con il mercato italiano e fare fronte alla “guerra economica” diversificando l’economia. Nel 2017 è iniziato lo sfruttamento del coltan nello stato Amazonas con l’apertura del complesso “El Mineral”.

Peccato che sembra non essere arrivato a destinazione. A fine luglio, Maurizio Stefanini ha pubblicato sulle pagine de Il Foglio un’inchiesta intitolata: “Che fine ha fatto il carico fantasma di coltan che Maduro ha spedito in Italia”.

“Non sappiamo quando e se il carico è arrivato. Non sappiamo qual è la nave che lo avrebbe trasportato – ha detto al Foglio Lorenzo Solinas, primo segretario dell’Ambasciata d’Italia in Venezuela, e addetto all’ufficio Commercio e Stampa. Non sappiamo qual è il porto da cui sarebbe partito. Non sappiamo qual è il porto in cui sarebbe arrivato. Soprattutto, non sappiamo qual è l’impresa italiana che lo avrebbe comprato […] abbiamo provato a indagare, in tutti i modi possibili. Niente. Non si riesce a saperne niente”. Il ministro dello Sviluppo minerario ecologico venezuelano, Víctor Cano aveva dichiarato all’emittente russa RT che il carico era arrivato nel porto di Trieste, ma l’analista Daniel Valerio Gutiérrez sostiene che “in Italia non esiste alcun impianto per processare il coltan”.

Ed è che la fine che fanno i carichi di oro e altri minerali del Venezuela è incerto. Un’inchiesta del sito Runru.es del giornalista Nelson Bocaranda ha indagato sulle trame di corruzione del regime di Maduro riguardo il traffico di risorse naturali. Intitolato “La fuga dell’oro venezuelano: la rotta del saccheggio chavista”, il testo svela – tra l’altro – il sequestro di 46 barre di oro ancora senza rilievo identificativo ad Aruba l’anno scorso. Erano registrate sotto il nome di una impresa mista statale venezuelana chiamata Oro Azul, con l’obiettivo di sfruttare e commercializzare il coltan.

Allora, chi sfrutta le risorse minerali dei venezuelani?

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