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Le attuali forme di gestione del capitale sono destinate a soccombere. Parla monsignor Bollati

pell iom paolo vi becchetti

Papa Francesco “lo ha gridato in tutte le salse”, l’economia moderna e capitalista, così come si presenta sotto i nostri occhi, non funziona. Così la Santa Sede ha ripreso il suo richiamo nel documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, ipotizzando vie d’uscita alternative, metodi di lavoro, norme morali su cui impostare un cambiamento che la popolazione, come evidenziano le proteste e le difficoltà politiche in gran parte dei Paesi occidentali, reclama a gran voce. Premiando nelle urne chi la alza di più. Monsignor Riccardo Bollati, segretario aggiunto della Commissione Teologica internazionale e docente all’Università cattolica del Sacro cuore, curatore del volume edito dalla Libreria editrice Vaticana “Il potere del denaro per il bene comune”, ne ha parlato con Formiche.net (qui la prima parte dell’intervista).

Il Papa non esita a denunciare con forza i meccanismi speculativi, il divario tra ricchi e poveri, l’oppressione dei piccoli e la globalizzazione dell’indifferenza che crea scarti. Sostenendo che per questo la vita economica non può essere estranea al Vangelo. Allora mi viene da chiedere, quanto sono legate economia e Vangelo?

Il Vangelo, che è ben più del messaggio dei vangeli, è letteralmente il buon annuncio, cioè l’annuncio della vita buona, della vita pienamente umana, che Dio offre agli uomini in Gesù Cristo. È una vita che comincia in questo mondo e ci introduce in quello che verrà: è la vita eterna che Gesù ci dona. Egli è risorto ed è ancora realmente presente fra noi, anche se opera in modo misterioso e visibile solo agli occhi della fede. Ma, laddove Gesù trova autentica accoglienza nel cuore degli uomini, i frutti si fanno vedere: verità e bene diventano le coordinate principali del vivere.

Così come, laddove l’uomo lascia spazio davvero alla verità e al bene, anche se non lo sa, di fatto lascia spazio all’opera buona di Dio: i grandi teologi medievali insegnavano che la verità e il bene, quando sono tali, da qualunque parte provengano, ultimamente vengono da Dio che opera nel cuore degli uomini di buona volontà… L’alternativa ad un’etica e ad una cultura fondate sulla verità e sul bene è sotto gli occhi di tutti: è una prassi che, appena il gendarme di turno si gira, “allunga le mani” su tutto per usare tutto in funzione dei propri comodi, convenienze del momento e interessi di parte.

Mentre la Chiesa, dalla sua parte, ha il Vangelo.

Il Vangelo spacca queste logiche meschine e opportunistiche con la logica della gratuità, cioè col gusto della verità e della giustizia. L’estremo utilitarismo a cui siamo spinti da tanta prassi odierna, ha eclissato questo “gusto” che rappresenta l’esperienza morale originaria dell’umano autentico. Che uomo è quello che non riconosce più l’esperienza della verità e del bene come premio a sé stessa? Un senso elementare dell’umano ci spinge a cercare la verità perché è un bene in sé per l’uomo cercarla e affermarla, anche a costo di grandi lotte sacrifici. E a cercare la giustizia perché è di per sé un bene attuarla: senza giustizia siamo infatti condannati, come diceva Agostino, a scontrarci fra noi come “bande di ladri” tenuti insieme da interessi contingenti.

Il Vangelo, che ci offre Gesù, ed a cui possiamo attingere anche attraverso la migliore testimonianza e tradizione secolare della Chiesa, da una parte, rilancia i fondamenti originari di ciò che rende davvero degna e umana la vita – e quindi ogni sua realizzazione, anche in ambito economico e politico – e dall’altra tende ad arginare tutto ciò che va in direzione contraria. Il Vangelo offre all’uomo gli strumenti adeguati per umanizzare il mondo, e fa questo aprendolo alla vita buona che viene da Dio, e che ci dona Gesù.

Ci faccia un esempio.

Ad esempio, illumina in profondità l’esistenza e ci fa vedere il legame originario e la reciprocità che esistono fra alcune realtà che il peccato tende invece ad oscurare e contrapporre, come fra profitto e solidarietà, o fra lavoro e capitale, o ancora fra Stato e mercato, così come fra bene della singola persona e quello comune, o fra uomo e donna… Quando queste realtà entrano in conflitto, le dinamiche sociali di cui ha bisogno il mercato per funzionare bene si esasperano e l’economia innesca percorsi disfunzionali… Allora, meglio lasciare spazio al Vangelo, no?

I lettori più critici di questo documento hanno parlato di una visione che offre in qualche modo una risposta economica di parte, che spinge per determinate soluzioni come un’autorità pubblica mondiale sulla finanza e che sono già state oggetto di dibattito nel mondo economico. 

Anzitutto richiamo un fatto oggettivo: il documento dichiara apertamente di volersi porre “al di là di ogni teoria o scuola di pensiero, nelle cui legittime discussioni non intende intervenire… insieme alla consapevolezza che, comunque, non esistono ricette economiche valide universalmente ed in ogni momento”.

Poi mi permetto di dire che ogni critica leale e intelligente del documento è bene accetta. Ad esempio un noto commentatore economico francese ha rilevato il silenzio del testo sulla grande questione dei tassi d’interesse, assai importante per la finanza: ha ragione ed è una scelta voluta per motivi che non è il caso di commentare in questa sede. Questa è una critica onesta. Un altro noto commentatore italiano ha detto che il testo proponeva una tassa su tutte le transazioni finanziarie: vorrei domandargli in quale passo il documento propone ciò…Così, chiedo anche di indicarmi il punto in cui si propone un’autorità pubblica mondiale sulla finanza: se si legge con attenzione sono altre le affermazioni del documento. In ogni caso, la presenza di ingenti flussi sovranazionali di denaro manifesta l’insufficienza di regole meramente locali ed esige accordi internazionali seri.

Cosa suggerisce, a questo proposito, il testo della Santa sede?

Il documento suggerisce una rinnovata alleanza fra economia e politica, senza specificarne i modi. Dice solo un’esigenza evidente a tutti: che capitale e governo non si usino più a vicenda ma si alleino per il bene di tutti, come ho cercato di sottolineare nell’introduzione al volume Il potere del denaro al servizio del bene comune.

È triste vedere che quando, per partito preso, si vuol squalificare un testo, vengono usati i media per dire cose che non corrispondono a verità… Questo rivela quanto un’etica e una cultura del bene e della verità, siano poi gravide di conseguenze concrete e non trovino oggi poi così tanti simpatizzanti. Ma senza giustizia e verità, alla fine prevalgono solo posizioni di comodo e tutto si confonde. Tutto ciò rende il messaggio del Vangelo molto attuale ed urgente.

Un’altra obiezione diffusa afferma che la critica al capitalismo è sbagliata perché non ci siamo mai arricchiti così tanto nel mondo, a livello complessivo, come oggi. Lei che risponderebbe?

Quanto al “capitalismo”, è difficile con una sola parola tutto ricomprendere. Ad ogni modo, uno sguardo leale sull’attuale realtà delle cose dimostra che le attuali forme di gestione del capitale, o accettano una riforma seria e radicale, con un cambiamento dei paradigmi di fondo, o sono destinate a soccombere sotto il peso dei disagi sociali che conseguono.

Ad esempio, il prof. Luigi Zingales, noto economista, pur dichiarandosi capitalista convinto, ha scritto un volume con cui offre una seria disamina del capitalismo odierno, offrendo anche alcune proposte di riforma. Al di là del fatto che si possano condividere o meno tutte le sue soluzioni, bisogna però dire che egli ci offre un esempio di rara onestà intellettuale. Perciò, anche se non si professa cattolico, gli abbiamo chiesto di collaborare al volume di commento del documento e di prepararci un articolo che lo lanciasse su L’Osservatore Romano. Sarebbe bello poter rilevare il diffondersi in tanti ambienti di una simile lealtà di pensiero e di apertura alla collaborazione.

Tra le reazioni al documento, quali le sono saltate maggiormente all’attenzione?

Una personalità come il dottor Antonio Patuelli, presidente Abi e quindi privilegiato conoscitore del mondo finanziario, non certo noto dunque per le sue simpatie anticapitaliste, in un recente convegno ha pubblicamente ripreso quasi alla lettera le parole del documento, quando ha detto che “il mercato è uno strumento formidabile ma bisogna porgli un limite perché non diventi un luogo di anarchia e di sopraffazione. Io all’autoregolamentazione dell’economia non ci credo affatto. Per funzionare bene, l’economia ha bisogno dell’etica ma non di un’etica qualsiasi ma dell’etica amica della persona”. C’è da essere grati per una simile onestà! D’altronde, sono cose sotto gli occhi di tutti, a meno che non si sia distratti da altri interessi…

Infine, quanto all’affermazione che non ci si è mai arricchiti così tanto nel mondo, a livello complessivo, basta leggere l’ultimo rapporto Oxfam o gli studi di Branko Milanovich per riproporzionare il tutto: è vero che nei Paesi in via di sviluppo stanno creandosi le classi medie, ma ad esempio, dal 2013 il tasso di riduzione della povertà si è dimezzato. Cosa si vuole intendere dicendo ciò? Che tutto deve rimanere com’è con qualche piccolo aggiustamento? Ripeto, a meno che non si sia distratti da “altri” interessi, c’è tanta miopia in chi si rifiuta di fare i conti con l’attuale esigenza di una riforma sistemica che sia radicale.

Ecco quindi la replica, la miopia delle classi dirigenti distratte da interessi diversi dal bene comune…

Ma voglio rispondere più direttamente a questo tipo di affermazioni: chiedete a quelli che sono passati dal reddito pro capite di un paio di dollari al giorno ad uno di quattro dollari, cosa pensano del fatto che “non si è mai stati così bene a livello globale”, come ci dicono tanti amici con la pancia quotidianamente piena… Oppure chiediamolo al più che centinaio di migliaia di artigiani che nel nostro Paese hanno dovuto chiudere bottega in questi ultimi dieci anni, o a tanti nostri giovani che non hanno una prospettiva di lavoro sicuro: saranno consolati dal sapere che la ricchezza mondiale cresce al ritmo di più del tre per cento all’anno? O forse è colpa loro perché non sgomitano abbastanza per infilarsi nel flusso dei più prosperi? O magari dovrebbero rallegrarsi perché gran parte della ricchezza finisce soprattutto nelle tasche di pochi fortunati o evapora al sole dei paradisi fiscali, come ad esempio Cayman, Irlanda, Lussemburgo, dove annualmente la ricchezza gestita dal sistema bancario ombra cresce a più dell’8 per cento annuo?

A proposito di vangeli, queste cose fanno venire in mente l’episodio del ricco epulone: i poveri dovrebbero essere forse contenti perché cadono più briciole dalle mense dei ricchi? Detto questo, nessuno deve sentirsi giustificato a rimanere con le braccia conserte e ad aspettare sempre dagli altri la soluzione dei suoi problemi economici: impegno personale, responsabilità sociale, cooperazione e solidarietà sono imperativi etici che riguardano tutti. Occorre rimboccarsi le maniche e muoversi sulla scia di una nuova cultura della responsabilità, che sa coniugare diritti e doveri già all’interno di ogni intrapresa economica, come ha ricordato in un recente editoriale il prof. Becchetti.

Ragionando in termini filosofici, si associa comunemente lo spirito del capitalismo all’etica protestante. L’economia capitalista è indubbiamente centrata su un modello di tipo meritocratico, anche se poi nella sua traduzione concreta spesso diventa il dominio del più forte sul più debole. Molto diverso dalla predicazione cattolica e dei vangeli, dove nel Regno dei cieli “gli ultimi saranno i primi”, dove il figliol prodigo viene accolto a braccia aperte e il padrone della vigna paga allo stesso modo tutti i suoi operai. Dove il ricco epulone si contrappone al mendicante, Lazzaro, e dove talvolta la povertà è sinonimo di distaccamento virtuoso dai beni materiali. Il punto è allora che forse oggi, in una società globale, c’è bisogno nell’economia di un’etica più cattolica?

Gli episodi da lei citati fanno vedere bene che il testo dei vangeli è stato scritto per rendere testimonianza alle parole ed ai gesti di Gesù e per introdurre alla vita nuova che Lui è venuto a portare. Un approccio letterale ai loro testi è dunque possibile soprattutto in vista di questo scopo. I vangeli non sono stati scritti però per far funzionare l’economia, e il tentativo di trarre immediatamente dei principi economici da alcuni episodi o frasi dei vangeli fa corto circuito: questa è una lettura fondamentalista della bibbia.

Nella comprensione cattolica, il messaggio del Vangelo viene attinto non solo e direttamente dalle Scritture, ma anche dalla Tradizione vivente della Chiesa e dal suo Magistero. E queste, con la dottrina sociale della Chiesa, ad esempio, ci dicono che non c’è bisogno di un’etica più cattolica invece che di un’etica più protestante, ma di un’etica amica della persona e di una razionalità che guardi alla qualità del vivere prima ancora che ai numeri e alle quantità e che, anzi subordina queste a quella. E che c’è bisogno – lo dicono tante encicliche degli ultimi Papi – di un’economia che faccia i conti soprattutto con la realtà delle cose, prima ancora che con gli interessi dei soggetti più forti – ecco il principio di verità – e con la giustizia nei rapporti, a tutti i livelli – ecco il principio del bene. C’è allora qualcuno che si può chiamar fuori da questo appello?

Non saprei, se c’è, me lo dica lei…

Fra l’altro, proprio il dottor Patuelli, da osservatore sensibile in materia, ha rilevato che il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones “ha un respiro mondiale, non è italo-centrico e va al di là della dottrina sociale della Chiesa per offrire una road map anche ai non credenti o ai credenti di altre religioni”. Penso che miglior commento, al di sopra di ogni sospetto di parzialità, il documento non poteva ricevere…



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